L’innalzamento dell’età pensionabile, su cui il Governo si dovrà esprimere a breve, con il Pd che vorrebbe spostare in avanti la decisione finale tra sei mesi (passando così la “palla” al nuovo Esecutivo), sta creando molti malumori.
A protestare sono, soprattutto, i lavoratori nati attorno al 1953-55 che non riescono mai ad arrivare a “meta”, perchè per ogni anno in più di lavoro si ritrovano almeno un altro anno aggiunto.
Del resto, i numeri parlano chiaro. E sono impietosi. Da un confronto con altri Paesi dell’Unione Europea, dopo la stretta attuata con ultime riforme pensionistiche Amato e Fornero, in Italia oggi si va già in pensione in media quattro anni più tardi.
I Paesi a noi più “vicini” dell’Unione Europea, infatti, mandano in pensione di vecchiaia i loro lavoratori molto prima del Belpaese.
In Germania, ad esempio, i dipendenti vanno in pensione a 65 anni e si arriverà a quota 67 solo nel 2030, 11 anni più tardi che in Italia.
In Francia attualmente a 60 anni che diventeranno 62 per quelli nati dal 1955 in poi, con diverse deroghe migliorative, ricorda l’Ansa.
Certo, per l’Italia si è passati da un eccesso all’altro: in meno di un decennio la soglia di raggiungimento dell’età di vecchiaia è cresciuta di 7 anni, visto che nel 2010 lasciavano a 60 anni mentre ora la prospettiva è uscire 67.
Se poi si guarda agli anni Ottanta, il divario diventa al limite dell’inconcepibile: proprio le donne con figli, per le quali ora i sindacati lottano per anticipare di tre anni l’uscita dal lavoro, se ne andavano in pensione con appena 14 anni sei mesi ed un giorno di lavoro.
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