Pesante monito dell’Ocse all’Italia sull’uscita dal lavoro dei suoi cittadini, considerata troppo anticipata, e sulla necessità di cancellare il sistema ‘Quota 100’, perché avrebbe portato l’Italia “indietro rispetto alle recenti riforme”: nella scheda sull’Italia del Rapporto “Pensions at a Glance“, l’organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico sostiene che nel nostro sistema pensionistico la priorità dovrebbe essere quella di “aumentare l’età effettiva di ritiro dal lavoro”, considerando che ad oggi è “solo” di 62 anni, quindi di due anni circa inferiore a quella media Ocse e di cinque più bassa rispetto all’età legale di vecchiaia (posizionata a 67 anni).
Inoltre, l’Ocse rileva che l’Italia spende per il sistema pensionistico il 16% del Pil, il secondo livello più alto nell’area Ocse.
Nessun riferimento, però, viene fatto alle professioni usuranti: quelle nelle quali si vorrebbe far rientrare anche la docenza, come di recente chiesto dal dottor Vittorio Lodolo d’Oria con un appello al ministro Lorenzo Fioramonti per dire basta alle maestre-nonne.
La “colpa” di ‘Quota 100’
La sfida,sostiene l’Ocse, sarà quindi quella di “mantenere adeguate prestazioni di vecchiaia limitando la pressione fiscale a breve, medio e lungo termine”.
Secondo l’organizzazione internazionale, ‘Quota 100’ consentendo di ritirarsi in anticipo dal lavoro, ha bloccato l’aumento dei requisiti legati all’aspettativa di vita fino al 2026 per coloro che hanno almeno 42 anni e 10 mesi di contributi se uomini e 41 e 10 mesi se donne.
Inoltre, non è prevista una revisione per l’età di vecchiaia nel 2021 legata all’aspettativa di vita.
“Il sistema italiano – scrive l’Organizzazione – combina un’alta età pensionabile obbligatoria con un tasso di contribuzione pensionistica elevato del 33%” e ciò comporterà un tasso di sostituzione netto futuro (quando si raggiungeranno i 71 anni, ndr) molto elevato, il 92% per i lavoratori con salario medio a carriera piena contro il 59% in media nell’Ocse”.
Le difficoltà occupazionali non aiutano
Nel rapporto si punta anche il dito sulle difficoltà del mercato del lavoro italiano con un’alta percentuale di lavoro temporaneo e part time che generalmente dà guadagni più bassi, più alto rispetto alla media dei paesi Ocse.
“Queste forme di lavoro – avverte l’Ocse – aumentano il rischio di basse pensioni future dato che il sistema italiano collega strettamente le pensioni ai contributi”.
“Inoltre, i tassi di occupazione di giovani e anziani in Italia sono ancora bassi, con il 31% di giovani tra i 20 e i 24 anni al lavoro contro il 59% medio Ocse e il 54% tra i 55 e i 64 anni contro il 61% della media Ocse”.
E tale “rischio di carriere incomplete pesa sulla pensione futura strettamente legata ai contributi versati”.
Occorre, pertanto, “concentrarsi sull’aumento dei tassi di occupazione, in particolare tra i gruppi vulnerabili”: questo, “ridurrebbe l’utilizzo futuro delle prestazioni sociali di vecchiaia”.
I privati hanno pensioni più basse
L’Ocse si sofferma anche sull’alta percentuale di lavoro autonomo nel nostro Paese, con oltre il “20% dei lavoratori” che operano come “autonomi, a fronte del 15% nei paesi Ocse”.
E se nella media Ocse questi lavoratori hanno pensioni mediamente più basse del 22% rispetto ai lavoratori dipendenti, in Italia c’è il divario più grande con una differenza che supera il 30% a favore di chi è dipendente.
Su questo versante, si indica la necessità di operare per “la parità di trattamento di tutto il reddito da lavoro”, portando “le aliquote del contributo pensionistico” a “convergere in tutte le forme di lavoro” e “aumentando le pensioni per coloro che hanno un basso tasso di contribuzione”.