Mentre si delinea chi, come e quando potrà presentare domanda per accedere a quota 100, viene a comporsi la reale consistenza dell’assegno.
Nei giorni scorsi, avevano fatto discutere le stime realizzate per docenti e Ata dal sindacato Snals, che arrivavano a prevedere tagli anche da 350 euro al mese. Ora, però, si scopre che sono decisamente realiste.
Qualche settimana fa, il sottosegretario al lavoro, leghista, Claudio Durigon, aveva tenuto a dire che con quota 100 non ci sarebbero stati tagli all’assegno di quiescenza: “chi uscirà con quota 100 avrà una rata pensionistica basata sugli effettivi anni di contributi e non anche sugli anni non lavorati”, e comunque, aveva calcolato, si arriverà a percepire non oltre il 16% in meno rispetto all’uscita dal lavoro ordinaria.
Più pessimista era stato, in precedenza, l’Ufficio parlamentare di bilancio che aveva parlato anche del 30% lordo di riduzione (minimo il 5%) rispetto a chi lascia nei termini previsti dalla legge Fornero-Monti.
Il calo dei compensi, permanente, è comunque un fattore ineludibile. La consistenza sarà legata a varie ragioni: dalla minore quantità di contributi versati all’effetto coefficienti di trasformazione fino alla possibilità che sia minore la parte calcolata con il metodo retributivo rispetto a quella calcolata con quello contributivo
La riduzione più grande, come ha da tempo scritto La Tecnica della Scuola, scatterà per chi rientra per poco nei parametri richiesti: quindi, coloro che presenteranno domanda proprio con 38 anni di contributi e 62 di età. Per loro, il taglio, sarà quindi tra il 20% e il 30%.
Cosa significa, questo in termini pratici? Per un maestro di scuola primaria, che a 67 anni percepirebbe qualcosa di più di 1.700 euro netti, l’assegno con quota 100 si “sgonfierebbe” di molto, collocandosi sotto i 1.300 euro, sempre netti.
A parlare dell’anticipo pensionistico quota 100 è stato anche il presidente dell’Inps, Tito Boeri, il 4 febbraio in una audizione al Senato.
Ad oggi, ha detto, sono arrivate all’Inps 18.000 domande per l’accesso alla pensione anticipata con Quota 100, un terzo delle quali da dipendenti pubblici.
Poi ha aggiunto che molte delle domande arrivano dalle regioni meridionali: 4 su 10 da Basilicata, Calabria, Campania, Puglia e Sicilia.
“Questo si spiega con il fatto – ha sottolineato Boeri – che abbiamo spesso a che fare con persone non occupate, più pronte a fare domanda di pensione. Questo dovrebbe far riflettere sull’idea che il pensionamento liberi posti di lavoro”, ha detto polemicamente il presidente Inps.
Boeri, però, si è soffermato anche su altri aspetti: con quattro anni di anticipo, ha detto, “l’importo della pensione si riduce di più del 20%”.
Una riduzione dovuta, ha spiegato il numero uno dell’Inps, in via di estromissione dall’incarico, sia della correzione attuariale vigente sulla quota contributiva che del lucro cessante associato al minor versamento contributivo data l’interruzione della carriera (c’è il divieto di cumulo con l’attività lavorativa).
A fronte di questa riduzione di importo della pensione, ha continuato Boeri, chi dovesse uscire con 62 anni e 38 di contributi percepisce però la pensione per un numero maggiore di anni.
Questo porterà a un aumento della ricchezza pensionistica (calcolando l’importo che si riceve per il numero degli anni di speranza di vita residua) nell’ordine di 12.000 euro in valore attuale per un soggetto che anticipa quattro anni rispetto alla vecchiaia e di 20.000 euro rispetto all’anticipata.
Ma per quale motivo, scatterà la riduzione all’assegno di pensione? L’Ansa, come avevamo già riportato, ha calcolato che se si esce con la quota 100 pura (62 anni di età e 38 di contributi) si anticipa l’uscita dal lavoro rispetto all’età di vecchiaia (67 anni nel 2019) e alla pensione anticipata attuale (42 anni e 10 mesi di contributi se resteranno bloccati anche l’anno prossimo come annunciato dal Governo, sennò 43 e tre mesi) di circa cinque anni.
In questi anni non si verseranno contributi che quindi non andranno a rimpolpare il montante e quindi la pensione futura.
Ma per calcolare l’assegno il montante contributivo viene moltiplicato per un coefficiente di trasformazione che è tanto più alto più è alta l’età alla quale si accede alla pensione. Nel 2019 è prevista una riduzione per cui a 62 anni il coefficiente sarà a 4,790 (è 4,856 fino alla fine di quest’anno) mentre quello di uscita a 67 anni sarà a 5,604. Il montante più basso quindi si moltiplicherà per un coefficiente più basso riducendo l’assegno.
E se si esce con quota 100 pura vuol dire che si hanno 38 anni di contributi e si è cominciato a lavorare nel 1980 quindi non si rientra tra coloro che a fine 1995 avevano già 18 anni di contributi.
Chi ha cominciato a lavorare dal 1978 in poi avrà calcolata con il sistema retributivo (più generoso) solo la parte tra il 1978 e il 1995 mentre per i contributi versati dal 1996 in poi ha il sistema contributivo. Anticipando la pensione avrà una parte più consistente di montante che subisce il calcolo svantaggioso con il coefficiente più basso.
Questo vuol dire che anticipando l’uscita, si ferma anche la progressione della retribuzione, essenziale per il montante contributivo.
Gli ultimi anni della carriera sono quelli nei quali, soprattutto nel pubblico, in genere si ricevono i maggiori aumenti: quelli che, se si decide di andare in pensione anticipata, invece non scatteranno mai.
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