Non arrivano buone notizie per i dipendenti pubblici in “odore” di pensionamento attraverso la fruizione di quota 100, con 38 anni di contributi e almeno 62 di età, oppure dei 42 anni circa di contributi riconoscibili: per evitare un eccessivo numero di uscite contemporanee dal lavoro, oltre 160 mila di cui la metà solo dalla scuola, l’ultima idea su cui starebbero lavorando i tecnici del Governo M5S-Lega sarebbe quella di introdurre un “finestra” unica nel corso dell’anno. Oppure, nella migliore delle ipotesi, ogni nove mesi.
La richiesta sarebbe giunta direttamente dal ministero per la Pubblica Amministrazione, diretto dal noto avvocato Giulia Bongiorno, che in tal modo scongiurerebbe l’impennata di posti vacanti e il ricorso al precariato, che nella scuola è già doppio (tra il 12% e il 13%) rispetto al resto della PA.
Tecnicamente, si tratterebbe di “garantire la continuità amministrativa” del comparto pubblico.
L’ipotesi, se confermata, non farebbe sicuramente piacere ai dipendenti pubblici. Ancora di più perché per i lavoratori privati che maturino i requisiti, ovvero i 38 di contributi e circa 42 per la pensione di anzianità, rimarrebbero in vita le classiche quattro finestre “mobili”.
Gli effetti della differenza si noterebbero subito, con i primi lavoratori privati che lascerebbero il lavoro il primo giorno di aprile. Mentre gli statali verrebbero raggruppati in un’unica data, probabilmente successiva. E per chi non vi dovesse rientrare se ne riparlerebbe nel 2020.
Confermate, invece, le procedure attuali opzione donna e ape social (con una quindicina di professionalità beneficiarie, tra cui i maestri della scuola dell’infanzia e le educatrici dei nidi).
E il resto degli insegnanti? E il personale Ata? E i dirigenti? Per loro questa “partita” non vale. Come rimangono esclusi delle modifiche delle finestre di uscita degli altri dipendenti pubblici: come già spiegato, l’unica data di uscita possibile per chi opera nella scuola rimane quella del 1° settembre di ogni anno.
Inoltre, se non si procederà in fretta ad approvare la nuova legge, per chi lavora scuola il rischio è quello di poter beneficiare delle norme solo nel 2020.
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