Si accavallano le anticipazioni sull’anticipo pensionistico allo studio del Governo per superare la riforma Fornero che manda oggi in pensione 67 anni oppure le donne con 42 anni e tre mesi e dodici mesi in più gli uomini. Le dichiarazioni di Alberto Brambilla, consigliere economico di Palazzo Chigi, molto vicino proprio al partito del Carroccio, che aveva parlato di uscita dal lavoro con priorità per coloro che hanno almeno quota 104 e uscite entro il 2020 per gli altri con quota 100 raggiunta entro il 2018, sono state superate dal sottosegretario al Lavoro Claudio Durigon (della Lega).
Il 12 dicembre, l’alto esponente del Governo ha assicurato al Corriere della Sera che “Quota 100 partirà subito e senza penalizzazioni”. Anche se, aggiungiamo noi, chi si aspetta un assegno vicino a quello di chi lascia a 67 anni avrà un’amara sorpresa.
Quello che si conferma è invece la riduzione dell’impegno economico, come chiesto in modo categorico dall’Ue. “Per quota 100 – dice Durigon – nel 2019, basteranno circa 4,7 miliardi, cioè 2 in meno di quanto abbiamo stanziato nel disegno di legge di Bilancio”.
Una riduzione di circa un terzo, rispetto al budget inizialmente previsto dalla ex Legge Finanziaria, che si presume possa essere legato a dei disincentivi a lasciare, di cui però al momento non abbiamo certezze.
“Inoltre – aggiunge il sottosegretario -, mandiamo a Bruxelles un messaggio importante, che questa misura non è strutturale, ma avrà una durata triennale, per svuotare il bacino dei lavoratori bloccati dalla riforma Fornero”.
Una specifica, quest’ultima, che non piacerà ai tanti pensionandi che non riusciranno ad andare via nel prossimo triennio: quando sarà il turno, quindi, torneranno a valere le leggi in vigore.
In pratica, la legge Fornero verrà sì “smontata”, per dirla con le parole del vicepremier Matteo Salvini, ma solo per 36 mesi. Poi si tornerà all’antico.
Ma chi potrà andare via il prossimo anno? “Nel 2019, potranno lasciare il lavoro coloro che avranno almeno 62 anni d’età e 38 di contributi”, assicura il sottosegretario
Quindi, “chi maturerà i requisiti entro gennaio, aspetterà tre mesi per ricevere il primo assegno, quindi ad aprile. Chi li maturerà a febbraio prenderà la prima pensione a maggio e così via”.
Solo che i dipendenti pubblici, quindi anche docenti, personale Ata e dirigenti scolastici, dovranno aspettare di più.
Esattamente il doppio: “Sì – afferma -. Alla finestra si aggiungerà un preavviso di altri tre mesi, per consentire alla pubblica amministrazione di programmare le sostituzioni. Quindi i pubblici che raggiungeranno quota 100 entro gennaio prenderanno la pensione a luglio, chi maturerà i requisiti a febbraio la prenderà ad agosto e così via”.
Ciò significa che il personale della scuola che godrà di questo beneficio e andrà via, necessariamente, il 1° settembre, si vedrà corrisposto il primo assegno di quiescenza solo il marzo successivo.
“La platea potenziale è di circa 350mila lavoratori nel 2019, ma non tutti sceglieranno di andare in pensione”: si presume, di conseguenza, che nella scuola gli 80-100 mila docenti e Ata inizialmente previsti si riducano di almeno 20 mila unità.
Ecco spiegato, quindi, come e perché si andrà a ridurre del 30% il montante necessario a finanziare l’operazione: si riduce di questa percentuale, la platea di beneficiari.
Nel corso dell’intervista, il sottosegretario leghista ha poi escluso l’adozione di clausole di salvaguardia per non spendere di più dei 4,7 miliardi: “Stiamo verificando, ma non dovrebbero essere necessarie, perché – assicura Durigon – col meccanismo delle ‘finestre’, le prime pensioni saranno pagate ad aprile. Per il 2020 e il 2021 prevediamo uno stanziamento di circa 8 miliardi per coprire l’intero anno”.
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