Sulla riforma delle pensioni, come già scritto da La Tecnica della Scuola, il Governo M5S-Lega rischia di trovarsi solo contro tutti. Se l’Inps, che gestisce il sistema in Italia ha già da tempo messo in guardia il progetto di controriforma prodotto dai due vicepremier Luigi Di Maio e Matteo Salvini, sostenendo che per cancellare la legge Monti-Fornero servirebbero 15 miliardi l’anno regime anche 20 miliardi, ora a mandare un chiaro segnale negativo è anche la Banca centrale europea.
L’ipotesi di riforma del sistema previdenziale alla quale sta lavorando il governo prevede due step: con entrata in vigore nel 2019 della quota 100 (pensione anticipata a 64 anni con 36 di contributi) e tempi più lunghi per la pensione anticipata con 41 anni di contributi. Si tratta, però, di indiscrezioni e anticipazioni: per avere certezze bisogna infatti aspettare i provvedimenti normativi.
Se davvero fosse inserita nella Legge di Bilancio, sarebbe possibile utilizzarla dal primo gennaio 2019.
Sempre più a rischio, infine, l’APE Sociale attualmente prevista fino al 31 dicembre 2018 in via sperimentale: il Governo non sembra intenzionato a prorogarla né tanto meno a renderla strutturale.
Chi potrebbe guadagnarci o chi perderci nel 2019 rispetto alla situazione attuale:
Impiegato statale nato nel 1955 e a lavoro dal 1982 ci guadagna: potrebbe andare in pensione nel gennaio 2019, a 64 anni con 37 anni di contributi. Con le regole attuali resterebbe invece al lavoro fino al 2022, uscendo dopo i 67 anni di età dato che dovrebbe esserci un nuovo scatto per l’aspettativa di vita.
Una donna disoccupata nata nel 1956, ma anche lavorato per 30 anni, fino al 2015, ci perde. Se l’Ape social continuasse nel 2019 potrebbe chiedere a 63 anni e 5 mesi di avere il sussidio. Con le nuove regole in arrivo, non avendo i contributi necessari alla quota 100 potrebbe dover aspettare 67 anni andando quindi nel 2023 (a questo andrà aggiunta la nuova aspettativa di vita nel 2021 e nel 2023).
Secondo una stima fatta da Italia Oggi, dal 1° settembre 2019, a normativa previdenziale vigente, i docenti e il personale Ata che al 31 dicembre 2019 potranno fare valere i requisiti anagrafici e/o contributivi richiesti per accedere sia alla pensione di vecchiaia che a quella anticipata potrebbero essere rispettivamente tra 20 e 25mila e tra 7 e 8mila.
Uscite importanti, con le quali si potrebbe creare lo spazio per sostanziose immissioni in ruolo nell’immediato futuro.
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