Se i sindacati sono d’accordo, Quota 100 finirà con il 2020, quindi un anno prima della sua scadenza naturale: a dirlo, in un’intervista a Repubblica, è stato Antonio Misiani, viceministro Pd dell’Economia. E’ questa, assieme ad un nuovo sistema di anticipo pensionistico, la proposta del Governo ai sindacati per rivedere la riforma Fornero, senza però aumentare le spese per lo Stato.
“Dal primo gennaio 2021 gli italiani pagheranno meno tasse grazie alla riforma Irpef. E se troveremo l’accordo con i sindacati, Quota 100 sarà sostituita da un meccanismo più equo e meno costoso” per lo Stato, ha sottolineato Misiani.
“Dico alla maggioranza – ha continuato il sottosegretario dem – che è il momento per costruire, non per picconare. Parliamo meno di prescrizione, più di economia e lavoro”.
Intanto, come annunciato, lunedì 10 febbraio si è parlato di riforma delle pensioni: lo hanno fatto i sindacati, partecipando al tavolo tecnico al ministero del Lavoro, dedicato alla flessibilità in uscita e allo stesso superamento di Quota 100.
Lo stesso giorno, anche il premier, Giuseppe Conte, ha fatto precisi riferimenti al sistema pensionistico da rivedere: lo ha fatto durante il primo dei tavoli allestiti per tracciare con la maggioranza le linee dell’azione dell’esecutivo per i prossimi mesi. E tra i progetti annunciati, ma che ancora non hanno preso forma, c’è anche il superamento di legge Fornero sulle pensioni e pure di Quota 100.
Dal Governo non sono giunte però indicazioni sulla quantità di risorse che saranno a disposizione dell’intervento nonostante “più volte è stato detto – hanno spiegato i sindacati – che condivide la filosofia e l’impianto della nostra piattaforma”.
Sicuramente, al ministero del Lavoro si è discusso sulla possibilità di lasciare il lavoro a 64 anni: con la parte pubblica che avrebbe dato l’assenso solo in cambio dell’intero calcolo contributivo. Una possibilità che ridurrebbe quasi di un terzo l’assegno di pensione, come avviene già oggi per chi aderisce ad Opzione donna.
I sindacati, dal canto loro, hanno ribadito che si tratta di una posizione inaccettabile, perché comporterebbe una perdita per il lavoratore che può arrivare al 31% dell’assegno.
La stima è della Cgil, che ha diffuso una simulazione su alcuni casi di persone con anzianità contributive al 1995 inferiori a 18 anni (e quindi rientranti nel sistema misto).
Il ricalcolo ha un impatto più alto per le persone che hanno un’anzianità contributiva più alta al 1995. Un lavoratore con un reddito di 23.000 euro lordi ad esempio – si legge – con 36 anni di contributi (dei quali 16 alla fine del 1995) e una carriera lineare vedrebbe la sua pensione passare da 1.145 euro lordi a 801 euro lordi (732 netti) e una perdita di 344 euro (30%).
Inoltre lo Stato, di fatto, calcolando la perdita sull’attesa di vita media “guadagnerebbe” 51.480 euro, ha sottolineato il sindacato Confederale.
Tra le richieste sindacali, invece, c’è quella di mantenere nella previdenza i fondi non spesi per Quota 100, che, sostengono, da sole non sarebbero comunque sufficienti: per Cgil, Cisl e Uil servono, quindi, risorse aggiuntive. E anche importanti.
Nei prossimi giorni, le parti si rivedranno: l’impressione, però, è che per trovare la quadra serviranno molti mesi. Ma anche tanti soldi. Bisognerà capire chi dovrà metterli: il Governo o i lavoratori.
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