Alla fine i risparmi sulla manovra di bilancio hanno salvato l’Italia dalla procedura d’infrazione che Bruxelles minacciava da tempo. Ma a quale prezzo? È questo il punto.
Secondo il premier Giuseppe Conte non vi sarebbero differenze sostanziali. “Ho dimostrato che si può essere allo stesso tempo responsabili e coraggiosi: abbiamo evitato la procedura d’infrazione, senza rinunciare a reddito di cittadinanza e quota 100 sulle pensioni. La manovra dà ai cittadini, non toglie. Ma allo stesso tempo mantiene i conti in ordine”, ha detto il presidente del Consiglio al Tg1.
Per poi aggiungere: le due misure “partono a fine marzo: su questo sono stato inflessibile, anche se abbiamo operato dei risparmi”.
Gli fa eco il ministro dell’Economia Giovanni Tria, che durante la registrazione di Porta a Porta, ha rassicurato gli interessati alle misure della manovra su reddito di cittadinanza e pensioni, quindi quota 100, “partiranno il primo di aprile”.
Molti hanno pensato che anche i pensionamenti avranno effetto da aprile. In realtà, le cose dovrebbero andare un po’ diversamente.
Prima di tutto perché i ritocchi a ribasso della manovra, l’ultimo di un miliardo, hanno riguardato anche il reddito di cittadinanza e quota 100. Con una conseguente spinta su disincentivi, paletti e spostamenti in avanti delle date di avvio del progetto quota 100.
Perché è vero che tra il 2019 e il 2021 chi ha almeno 62 anni di età e 38 di contributi potrà andare in pensione con una finestra trimestrale se lavoratore privato e semestrale se pubblico.
Ma è altrettanto vero che se per i privati la prima finestra si materializzerà il 1° aprile 2019, per i lavoratori pubblici i requisiti vanno ottenuti entro il 31 marzo e la prima uscita si realizzerà solo il 1° ottobre (quindi di sei mesi nel caso si raggiungano i requisiti nel primo trimestre ma di 9 mesi se li si hanno già a fine 2018): una disposizione che taglia fuori docenti, Ata e presidi dalla possibilità di lasciare il prossimo 1° settembre, obbligando chi ha i requisiti di quota 100 ad andare in pensione non prima di settembre 2020.
C’è poi il divieto di cumulo con l’attività lavorativa fino all’età di vecchiaia, quindi a 67 anni, a meno che non si faccia lavoro autonomo occasionale con compensi inferiori a 5.000 euro annui.
Ma tra i disincentivi a lasciare dell’ultima ora c’è una vera new entry: il pagamento ultra-ritardato della liquidazione. Sempre e solo per i dipendenti dello Stato, il trattamento di fine servizio, infatti, sarà erogato solo all’età di uscita per la vecchiaia con i requisiti normali: quindi a 67 anni di età o i in corrispondenza dei requisiti di anzianità contributiva, quindi attorno a 42-43 anni di contributi versati.
Tra le altre disposizioni in arrivo, c’è anche il blocco dell’aumento dell’aspettativa per le pensioni anticipate (a 42 anni e 10 mesi, 41 e 10 per le donne), anche se si introduce la finestra trimestrale. Confermata la proroga dell’Ape sociale per un anno (ma nella scuola vale solo per le educatrici dei nidi e i maestri della scuola dell’infanzia) e si mantiene, sempre per un anno, l’opzione donna (con taglio secco dell’assegno pensionistico di circa il 30% per via del conteggio totalmente contributivo).
Sarà previsto, infine, un meccanismo di salvaguardia qualora le uscite dovessero essere più del previsto: la stima è di 315.000 pensionamenti supplementari nel 2019.
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