La legge Fornero sarà rivista, ma non cancellata. La Tecnica della Scuola, nei giorni scorsi, ha anticipato la notizia sull’impossibilità di introdurre una ‘quota 100’ pura, senza vincoli.
‘Quota 100’ si farà, ma serviranno almeno 64 anni di età anagrafica e 36 anni di contributi versati, un paletto che lascerà fuori tantissimi lavoratori (che sui social, avendo capito l’intenzione, non nascondono la loro delusione).
Alla fine, hanno prevalso i limiti finanziari, come del resto sempre sostenuto dal presidente Inps, Tito Boeri: basta dire che anche la ‘quota 100’ con doppio vincolo (64 + 36) costituisce una manovra che da sola, comunque, costerebbe circa già 4 miliardi.
Questo è lo stato di cose ad oggi: l’ultima speranza, per i pensionandi che rimarrebbero tagliati fuori da tali prospettive, almeno 100mila solo nella scuola, è che i vicepremier Luigi Di Maio e Matteo Salvini, che sull’abbattimento della Legge Fornero hanno costruito molto della loro campagna elettorale, ribadendolo nel ‘contratto di governo’, possano riuscire in un miracolo di fine estate. Allo stato attuale, molto complicato.
Secondo le prime stime ad essere interessati sarebbero stati circa 147mila tra docenti e Ata, ma questo senza vincoli di età. Ora, invece, in base alle stime rese note da Italia Oggi, ad andare in pensione con quota 100 e almeno 64 anni di età sarebbero la metà, cioè 73mila.
Una riduzione ancora più grande se saranno previste penalizzazioni in materia di cacolo del trattamento pensionistico anche nei confronti del personale che al 31 dicembre 1995 poteva far valere 18 anni di contributi.
Quindi l’idea del governo è quella di cambiare le regole che oggi sono in vigore, ovvero per la pensione di vecchiaia sono richiesti 66 anni e 7 mesi di età (più 20 anni di anzianità contributiva) che dal prossimo anno aumenteranno a 67 anni a causa dell’adeguamento con l’aumento delle aspettative di vita rilevato dall’Istat.
Per la pensione anticipata, invece, non viene indicata alcuna età anagrafica poiché è sufficiente aver maturato 42 anni e 10 mesi di contributi (per gli uomini) o 41 anni e 10 mesi (per le donne). Anche il requisito contributivo della pensione anticipata subirà una variazione dal 1° gennaio 2019 quando per smettere di lavorare bisognerà aver maturato 43 anni e 3 mesi (uomini) o 42 anni e 3 mesi (donne).
Il 4 aprile 2018 l’Inps ha pubblicato la circolare n.62 che fissa l’adeguamento dei requisiti di accesso al pensionamento agli incrementi della speranza di vita.
Dal 1° gennaio 2019, quindi, si andrà in pensione più tardi rispetto ad oggi.
L’aumento dell’età pensionabile, però, non sarà valido per tutti. Ci sono delle categorie di lavoratori, infatti, che potranno accedere alla pensione di vecchiaia all’età di 66 anni e 7 mesi, purché però abbiano maturato un’anzianità contributiva pari ad almeno 30 anni (e non 20).
Si tratta dei lavoratori che per almeno metà della abbiano svolto un’attività considerata usurante, tra cui ricordiamo gli insegnanti della scuola dell’infanzia, cioè i lavoratori che lavorano nel sistema integrato 0-6.
Risulta indispensabile ricordare, che non basta avere svolto un lavoro usurante per ottenere la pensione anticipata, ma bisogna avere un’anzianità contributiva di almeno 35 anni e avere 61 anni e 7 mesi.
Inoltre tali lavoratori devono avere almeno sette anni negli ultimi dieci di attività lavorativa, compreso l’anno di maturazione dei requisiti, per le pensioni che hanno decorrenza entro il 31 dicembre 2017 e almeno la metà della vita lavorativa per le pensioni con decorrenza dall’1 gennaio 2018 in avanti.
Ovviamente, tali requisiti pensionistici andrebbero revisionati in caso di riforma delle pensioni.
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