Pensionamento e previdenza

Pensioni quota 100, perché lasciamo? Stanchezza e poca considerazione: gli alunni ci mancheranno

Retribuzioni modeste e lavoro scarsamente considerato a livello sociale: sono i motivi principali che hanno spinto 16.800 lavoratori della scuola a lasciare il servizio, approfittando dei nuovi requisiti della cosiddetta “quota 100” (almeno 38 anni di contributi e 62 di età).

I motivi dell’addio anticipato

Le motivazioni sono state raccolte dalla Cisl Scuola, sino al 28 febbraio scorso, giorno di scadenza per la presentazione delle domande: attraverso un questionario, proposto durante i servizi di consulenza previdenziale nella fase di riapertura dei termini per le domande di pensione, il sindacato ha intervistato un campione rappresentativo delle diverse realtà territoriali e professionali.

Sono quattro, riferisce l’organizzazione guidata dal Lena Gissi, le domande poste agli intervistati, molto semplici e dirette.

Tanta stanchezza

La prima, non poteva che essere rivolta a cogliere le motivazioni della scelta compiuta, e più della metà degli intervistati ha denunciato o un’esplicita condizione di stanchezza (22,6%), o comunque la convinzione di avere già lavorato abbastanza (29,5%).

Tra quanti si dicono stanchi dell’attività svolta, troviamo in primo luogo chi insegna nella scuola primaria (28,9%), seguito dal 23,1% della scuola dell’infanzia.

Con percentuali decrescenti i docenti del II grado, del I grado e il personale ATA.

Il timore di doversi misurare in seguito con criteri di accesso alla pensione più restrittivi ha inciso per il 16,4%, quasi un punto percentuale in meno rispetto al 17,3% che dichiara di aver approfittato delle nuove opportunità di uscita perché spinto da esigenze di carattere familiare.

Solo il 14,2% afferma di voler andare in pensione per coltivare interessi diversi.

Perché pesa lavorare a scuola

La seconda domanda, spiega ancora la Cisl Scuola, puntava a individuare le cause che appesantiscono le condizioni di lavoro, inducendo a cogliere l’opportunità di abbandonare la propria attività.

Tra queste, prevale nettamente una percezione di eccessiva complessità, denunciata nel 36,7% dei casi; mentre la difficoltà nei rapporti con le famiglie (23,2%) supera di qualche punto quella legata alla conduzione della classe (19%). Non sembrano invece incidere molto, come causa di stress, i rapporti con i colleghi (li indica come fattore di disagio l’8,4% degli intervistati), né quelli col dirigente scolastico (12,7%).

Analizzando le risposte di chi lamenta la complessità del lavoro, si scopre che il 19,7% di chi si pronuncia in tal senso appartiene all’area del personale Ata, che rispetto al totale degli intervistati rappresenta il 16%.

Cosa mancherà ai pensionati: nulla per quasi uno si tre

Ciò che dell’esperienza di lavoro mancherà di più è il rapporto con gli alunni, come dichiara il 53,6% degli intervistati.

Una nostalgia molto più forte di quella riservata ai colleghi (17,7%).

È significativa, invece, la percentuale di chi afferma che non rimpiangerà tutto sommato nulla (28,7%): un dato che la dice lunga sullo stato di esasperazione in cui versano molti lavoratori della scuola.

Cosa serviva per rimanere in servizio

Alla richiesta di indicare quale avrebbe potuto essere un incentivo a rimanere in servizio, non prevale, come forse ci si poteva attendere, il desiderio di uno stipendio più alto (risposta scelta nel 30,9% dei casi), ma quello di un più significativo riconoscimento sociale del proprio lavoro, che è la risposta data dal 39,1% degli intervistati.

Si attesta al 16,7% la percentuale di chi avrebbe tenuto in considerazione l’offerta di maggiori opportunità di carriera, mentre la possibilità di lavorare più vicino a casa viene indicata come condizione che avrebbe potuto favorire una permanenza in servizio solo dal 13,3% del campione.

Alessandro Giuliani

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