La proposta di stabilire dal 2022 una “quota 102” come flessibilità per il pensionamento rappresenterebbe una grave penalizzazione, innalzando da 62 a 64 anni la soglia minima d’accesso (e i sindacati sono del tutto contrari) e per giunta ricalcolando l’assegno di quiescenza esclusivamente con il sistema contributivo. I lavoratori italiani dovranno prepararsi a prendere esempio dalla protesta di massa dei francesi?
La possibilità di andare in pensione prima è una scelta, non certo un obbligo: è una questione di libertà
Secondo diversi organi di stampa la soluzione legata a “quota 102” è sostenuta da una parte dei tecnici e politici del Pd (ci risiamo…) e da Alberto Brambilla, già sottosegretario al Ministero del welfare nel governo Berlusconi e presidente di Itinerari previdenziali (ma il governo attuale segue i “consigli” di uno che è stato sottosegretario di un governo “conservatore”? Ah, già: ci hanno detto che le ideologie non servono più!).
Ma la “quota 102” che nelle intenzioni di costoro dovrebbe sostituire “quota 100” sarebbe un passo indietro inaccettabile per i lavoratori che aspirano ad andare in pensione ad un’età ragionevole. Peraltro nessuno è obbligato a utilizzare le flessibilità in uscita offerte in alternativa alla pesantissima “riforma Fornero”: è una questione di libertà (di “libero arbitrio” se vogliamo parlare di un concetto filosofico, e teologico).
Ma in epoca di neoliberismo imperante (il nemico da combattere, che seppure ormai ha dimostrato drammaticamente di essere una ideologia – allora esistono ancora le ideologie! – e un sistema iniqui, in quanto tra l’altro divarica le differenze economiche tra i ricchi e le masse dei poveri, e che ha depauperato le classi medie, continua a essere pervicacemente imposto dai “poteri forti” che controllano e determinano i meccanismi finanziari) il concetto di libertà evidentemente “non trova dimora”, non ha spazio.
Ad esempio, per quanto riguarda “quota 100” sono stati molto meno del previsto i lavoratori che pur avendone diritto hanno esercitato tale opzione. Reazioni? Prima non andava bene perché ritenuta assai costosa, poi quando si sono ottenuti risparmi per via di un numero di domande di pensionamento anticipato minori rispetto a quelle stimate invece… di “fare festa” si è detto che evidentemente non aveva risolto i problemi legati alla necessaria flessibilità della legge Monti/Fornero.
“Quota 102” sarebbe nettamente peggiorativa della situazione attuale e non può essere quindi la soluzione
Invece “quota 102”, peggiorativa, risolverebbe i problemi? Ma qualcuno vuole prendere in giro i lavoratori? Già nell’ultimo decennio penalizzati profondamente nei propri diritti e nella gestione dell’età pensionabile; per non andare troppo indietro nel tempo basta dire che in fondo è trascorso neppure un decennio dalla “quota 95” introdotta dal governo Prodi che poi sarebbe diventata “quota 96” dal 1° gennaio 2011, una quota che oggi pur apparendo apprezzabile ed equa non ci si sogna neppure di chiedere, aggiungendo che allora la pensione di vecchiaia per le donne, ovviamente senza la pesantissima penalizzazione di “Opzione donna”, era fissata a 60 anni portata di colpo a 65 (più “finestra” d’uscita) per le dipendenti pubbliche (quelle del settore privato si sarebbero dovute allineare dopo qualche anno) per via della riforma Sacconi, ministro del governo Berlusconi nel 2010, che introdusse per tutti anche il meccanismo dell’adeguamento alla “speranza di vita” (con l’uscita posticipata dal lavoro e con la gente che per via della crisi economica e del giro di vite sul welfare sanitario pubblico ha talvolta difficoltà a curarsi potrebbe avviarsi a rimanere davvero solo… “una speranza”) e che sostanzialmente aprì la strada alla successiva riforma Monti/Fornero.
E per giunta i proponenti di “quota 102” vorrebbero far passare questa eventuale riforma sulla flessibilità in uscita una decisione per la quale i lavoratori dovrebbero essere grati e magari ringraziare?
Ma tale proposta a me appare davvero irricevibile e al limite della “barzelletta senza pudore” se consideriamo che ciò avverrebbe per giunta calcolando l’assegno di quiescenza esclusivamente con il sistema contributivo‼ Qualcuno pensa che i cittadini siano una massa manipolabile e/o remissiva, il “popolo bue” di infausta memoria?
Necessario seguire l’esempio della protesta francese? Forse no, se i sindacati manterranno la loro posizione esplicitata chiaramente
Per non farsi “prendere in giro” i lavoratori italiani dovranno seguire l’esempio di lotta dei francesi? Perché sia chiaro: per ottenere i risultati vincenti (Macron ha ritirato, diciamo “sospeso”, il progetto di portare a 64 anni l’età minima di pensionamento: i “cugini d’Oltralpe” vanno a 62, altro che 67 anni di età per il pensionamento di vecchiaia imposto dalla legge Fornero!), le lavoratrici e i lavoratori italiani non possono sperare nell’effetto francese, devono essere pronti a una “ribellione civile”, a lottare per tutelare i propri diritti. O qualcuno pensa che da Bruxelles e dai “tecnocrati” del governo arrivi qualche concessione anche in Italia perché in Francia i lavoratori, con settimane e settimane di manifestazioni e sacrifici, sono riusciti a non fare stravolgere le proprie vite?! O magari che con qualche ora di sciopero (se non sbaglio quando fu varata la riforma delle pensioni dal governo Monti furono indette… 3 o 4 ore di sciopero: vedi che paura per i “poteri forti”‼) si faranno valere le proprie posizioni ed i propri diritti.
Speriamo non sia necessario, visto che i sindacati sono stati compatti nel respingere con decisione la proposta di “quota 102”. Il segretario confederale della Cgil Roberto Ghiselli a proposito delle proposte per sostituire “quota 100”, sperimentazione che si concluderà al termine del 2021, ha detto chiaramente che “qualunque ipotesi di uscita anticipata (…) per noi deve essere possibile dai 62 anni, oltre a garantire l’uscita con 41 anni di contributi a prescindere dall’età”.
Lavori gravosi e pensionamento donne
Il segretario confederale della Cisl, Ignazio Ganga, ha fatto sapere che “la Cisl è assolutamente contraria sia nel merito sia nel metodo ad ipotesi che prevedano di andare in pensioni con almeno 64 anni di età e 38 di contributi ed il calcolo dell’assegno integralmente contributivo”, precisando: “siamo contrari nel merito perché queste proposte, che abbiamo visto rilanciate dagli organi di stampa in questi giorni, non rispondono alle richieste espresse nella piattaforma unitaria di Cgil, Cisl, Uil. E siamo contrari nel metodo perché l’unico modo serio di affrontare il tema delle pensioni e della previdenza è quello di aprire il prima possibile il tavolo di confronto tra Governo e parti sociali promesso dall’esecutivo ed annunciato dalla ministra del Lavoro, dando allo stesso tempo attuazione alle Commissioni di studio sulla spesa previdenziale e sui lavori gravosi previste dalla Legge di bilancio”.
A sua volta il segretario confederale della Uil, Domenico Proietti, che ha sempre mostrato attenzione alla questione della flessibilità in uscita (anche esprimendo spesso la necessità di intervenire su “lavori gravosi” e sul versante delle donne, che tanto sono state penalizzate in questo ultimo decennio da varie leggi che ne hanno vertiginosamente proiettato in avanti l’età pensionabile) dice in modo perentorio che l’ipotesi di passare da “quota 100” a ben 64 anni di età e 38 di contributi “non risponde all’esigenza di flessibilità diffusa per accedere alla pensione”. Inoltre Proietti ha sottolineato che tra le richieste sindacali si inseriscono anche “stabilire che 41 anni di contribuzione bastano per andare in pensione a prescindere dall’età e completare la salvaguardia degli esodati”.
Appuntamento tra governo e sindacati il 27 gennaio. Separazione tra previdenza ed assistenza
E in effetti nel governo c’è chi ha preso coscienza della posizione unitaria ed “energica” espressa dai Confederali (se poi cambieranno le decisioni in corso d’opera, i lavoratori ovviamente ne prenderanno atto e ne trarranno le conseguenze, come peraltro valuteranno l’attuale governo e i politici che lo sostengono anche sulla base delle decisioni sulla riforma pensionistica): infatti la ministra del Lavoro, Nunzia Catalfo, ha correttamente convocato (come peraltro già anticipato da mesi) i rappresentanti sindacali per avviare i “tavoli di confronto”, speriamo di “concertazione” (come si diceva un tempo). Il primo appuntamento tra il Governo e Cgil, Cisl e Uil è stato fissato il 27 gennaio. Nunzia Catalfo ha tenuto a precisare che per quanto concerne la riforma delle pensioni “si deciderà sulla base dei dati e del confronto con i sindacati”.
Saranno istituite due commissioni: quella sui lavori gravosi e quella sulla separazione tra previdenza ed assistenza. Si tratta di due aspetti molto importanti, su cui anche il presidente dell’Inps Pasquale Tridico ha posto l’accento (peraltro Tridico ha mostrato disponibilità sul versante della flessibilità per superare la legge Fornero e sembra che finalmente all’Inps “tiri aria nuova”): il problema dell’Inps è scorporare la spesa previdenziale (già con le riforme Amato e Dini i conti pensionistici sono stati messi in equilibrio e il sistema è ritenuto solido) da quella assistenziale, che naturalmente va mantenuta per chi ne ha diritto (in un Paese civile!) magari finanziandola tassando maggiormente i redditi molto alti o le cosiddette “pensioni d’oro”, oltre che con parte di quanto si riuscirà a recuperare con una lotta finalmente decisa contro l’evasione fiscale.
Riconoscere come lavoro gravoso anche quello degli insegnanti dei vari ordini e gradi di scuola, così come avviene già per il segmento dell’infanzia e per gli asili nido
Per quanto riguarda i lavori gravosi riportiamo quanto affermato dal presidente dell’Anief Marcello Pacifico che ha auspicato che “la commissione tecnica sulla previdenza allarghi al più presto le categorie da considerare come lavori gravosi. Prevedendo come gravoso anche l’insegnamento a tutti i livelli, non solo quello della scuola dell’Infanzia”.
In realtà la “gravosità” è riconosciuta anche per il personale educativo degli asili nido e francamente, con tutto il rispetto per questi lavoratori, che hanno certamente il diritto di avvalersi di tale beneficio, non appare chiaro perché debba essere considerato meno “gravoso” insegnare nella scuola primaria dove grandi meriti hanno i maestri nel far imparare ai bambini le basi del sapere o nella scuola secondaria di primo grado dove gli alunni vivono una difficile età di passaggio o nella scuola superiore dove i docenti spesso insegnano in classi affollate, magari pericolanti, con studenti “difficili” e con il rischio di aggressioni fisiche da parte di alunni e/o genitori che avvengono con una certa frequenza come ci riportano purtroppo le cronache di questi ultimi anni, dovendo anche supplire con la loro abnegazione alla carenza di presenza e di intervento di figure appartenenti ad altre categorie professionali (la pretesa del docente… “tuttologo” e “tuttofare”, diciamo “tappabuchi”!).
Stress, burnout e malattie professionali: una professione a rischio. Docenti anziani? Occorre un adeguato turn over
E questo determina inevitabile stress, con crescenti fenomeni di burnout, di ansia e depressione e di malattie professionali (tra cui forme cronicizzate di disfonia), così come da anni rileva e sottolinea l’illustre medico Vittorio Lodolo D’Oria, che inascoltato ne segnala il pericolo e l’aumento già verificato.
Peraltro, secondo uno studio di Eurydice (per la verità pubblicato diversi anni fa, quindi non so se effettivamente sia ancora così) l’età pensionabile per gli insegnanti è la stessa, in Europa, per qualsiasi ordine di scuola, naturalmente a seconda di quella stabilita in ciascun Paese.
Su questo argomento il sindacato Anief ricorda le “recenti indagini scientifiche sullo stress da lavoro correlato: stiamo parlando di una professione particolarmente incline a determinare stress e burnout, oltre al fatto che in Italia abbiamo personale docente più vecchio al mondo”.
E questi due dati messi insieme fanno riflettere: la soluzione è solo un adeguato “turn over”.
Uscita a 62 anni con determinati requisiti contributivi. E altre soluzioni di maggiore flessibilità con qualche penalizzazione
Le posizioni espresse sulla proposta di “quota 102” dai tre segretari confederali sono state peraltro avallate dalle dichiarazioni dei tre segretari generali, Landini della Cgil, Furlan della Cisl e Barbagallo della Uil.
Insomma sulla necessità di consentire l’uscita a 62 anni con determinati requisiti contributivi sembra proprio che i sindacati siano compatti. Poi, aggiungo io, ovviamente dovrebbero essere consentite anche altre possibili soluzioni di flessibilità per chi è disposto ad andare in quiescenza interamente con il sistema contributivo (diciamo sul modello di “Opzione donna”, ma in modo meno penalizzante dal punto di vista economico, attenuando con qualche “contrappeso” la notevole perdita economica): in tal caso la soglia di età dovrebbe ovviamente abbassarsi, magari valutando 58/59 anni per le donne, 60/61 per gli uomini.
E in effetti la ministra Nunzia Catalfo ha ribadito che verrà costituito “un nucleo di esperti a livello nazionale che si occuperà di accompagnare il superamento della legge Fornero”.
La “signora degli esodati” e Monti entrano a gamba tesa sulla proposta dei sindacati
Superamento della legge Fornero? Questo deve aver messo… in forte agitazione l’ex ministro Elsa Fornero, visto che tempo fa disse “chiunque sarà al governo non potrà abrogare la riforma delle pensioni che porta il mio nome” (…ad imperitura memoria?, scrissi allora io). E forse il suo “istinto di conservazione” è proprio legato alla temuta… abrogazione della legge, delle serie (ovviamente esagerando con ironia): se volete fate qualche cambiamento ma lasciate il mio nome alla legge! Ecco quindi le sue recenti “entrate a gamba tesa” sulle proposte dei sindacati, affiancata ovviamente da una platea di “contrari” ben definita (quasi sempre chi svolge professioni privilegiate o ricopre ruoli di “potere” a vari livelli) e a cui danno fiato, spesso e… volentieri senza un vero e robusto contraddittorio, anche diverse trasmissioni televisive (in una di queste Fornero è praticamente ospite fisso), accanto alle esternazioni raccolte da molti giornali nel contesto della “giocosa macchina da guerra” che certi ambienti hanno allestito contro un sistema previdenziale che possa prevedere una flessibilità in uscita più equa. Sento odore di “Restaurazione preventiva”!
Ma dei “contrari” (sulla pelle altrui) e di questo sistema di informazione per ora non mi dilungo per non essere prolisso, semmai ne vorrei parlare in altra occasione, se lo riterrò necessario.
Una sola cosa dico adesso sugli interventi dei giorni scorsi della Fornero (e del premier di quel governo, Mario Monti, quello del “che noia il posto fisso” – per giustificare la frequente necessità per i giovani di cambiare una serie di lavori, quasi sempre precari peraltro – ma che si guarda bene dal rinunciare al “posto fisso” di senatore a vita, che gli dà ulteriori emolumenti che si aggiungono, se le informazioni sono corrette, a due pensioni percepite, incarico conferitogli non si sa per quali meriti da Giorgio Napolitano prima ancora che Monti fosse nominato presidente del Consiglio dei ministri!): al di là del fatto che “la legge che porta il suo nome” ha determinato un allungamento dell’età pensionabile che non ha eguali nell’Unione europea, il fenomeno degli esodati non ancora del tutto risolto dopo tanti anni e varie “salvaguardie” non dovrebbe essere sufficiente alla sig.ra Fornero per non dispensare, peraltro a me sembra in modo un po’ altezzoso, ancora le sue “ricette” e attribuire ad altri “un esercizio di irresponsabilità”? Chieda ai tanti esodati chi ritengono “irresponsabile” e a tanti lavoratori perché la “sua” riforma sia valutata molto negativamente (giusto per usare un eufemismo).
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