Non c’è scampo: chi vuole andare via dal lavoro tre anni e mezzo prima delle nuove soglie imposte pensionistiche dalla riforma Fornero e dall’aumento dell’aspettativa di vita, deve necessariamente far parte delle 15 categorie individuate dal Governo. Per gli altri non ci sono margini di trattativa.
Disco rosso, quindi, alle donne, in particolare a quelle con figli, per le quali la Cgil aveva presentato una motivata richiesta di deroga.
L’esecutivo in carica ha fatto sapere che “concorda” con le organizzazioni sindacali “sulla necessità di continuare il confronto anche nella prossima legislatura”. Il tutto, “nel rispetto dei vincoli di bilancio e della sostenibilità di medio-lungo termine della spesa pensionistica e del debito, a partire dalle misure atte a garantire la sostenibilità sociale dei trattamenti pensionistici dei giovani nel regime contributivo e a riconoscere il valore sociale del lavoro di cura e di maternità svolto dalle donne”.
Il consenso, che però di fatto risulta un rifiuto, non è piaciuto allo stesso sindacato guidato da Susanna Camusso, che minaccia di portare i lavoratori in piazza, perché rimangono “grandi ed evidenti distanze”.
A “questa indisponibilità ad affrontare le ingiustizie del sistema e l’assenza di prospettiva per i giovani” e di misure per le donne, avverte, si risponderà con “le mobilitazioni che la mia organizzazione nelle prossime ore deciderà”.
La manifestazione potrebbe essere fissata per sabato 2 dicembre. Altrimenti si andrebbe dopo il ponte dell’Immacolata.
Il leader del Carroccio, Matteo Salvini, la pensa allo stesso modo e si dice pronto a protestare anche con la stessa Cgil. La Uil, invece, si conferma critica ma meno dura. Mentre la Cisl sembrerebbe giustificare la tesi del Governo ed “oggi noi diamo qualche risposta a chi non ne avrebbe”.
Intanto, dal 1° gennaio 2019, la pensione di vecchiaia dovrebbe salire dagli attuali 66 e 7 mesi 67 anni. Inoltre, la soglia di contributi minimi per l’uscita anticipata prevede 43 anni e tre mesi di contributi per gli uomini e 42 anni e 3 mesi per le donne. Mentre oggi per l’uscita anticipata occorrono 42 anni e 10 mesi per gli uomini e 41 e 10 mesi per le donne.
Questi ultimi requisiti rimarrebbero in vita solo per chi svolge un lavoro gravoso: addetti alla concia di pelli; addetti ai servizi di pulizia; magazzinieri e facchini; camionisti; macchinisti e personale viaggiante; gruisti; infermieri e ostetriche turnisti; maestre d’asilo; operai edili; operatori ecologici. A cui si aggiungono 4 nuove professioni: operai e braccianti agricoli; marittimi; addetti alla pesca; siderurgici di seconda fusione e lavoratori del vetro.
Per rientrare nella deroga, bisognerà aver svolto attività gravose da almeno 7 anni nei 10 precedenti il pensionamento ed avere un’anzianità contributiva pari ad almeno 30 anni.
Dall’esecutivo, c’è poi l’impegno a creare un fondo ad hoc per prorogare l’Ape social, l’anticipo pensionistico per le categorie che svolgono attività logoranti, la cui sperimentazione scade nel 2018, sino a renderla strutturale.
Il governo punta poi ad una revisione “strutturale”, per tutti, del meccanismo di calcolo della speranza di vita a cui si adegua l’età di pensione, al fine di “garantire un andamento più lineare”: dal 2021 si potrebbe considerare non solo la media del biennio confrontato con il precedente (e non più lo scarto secco tra un anno e un altro) ma anche fissare un “limite massimo di tre mesi” per i prossimi incrementi.
Se si dovesse registrare un incremento superiore, sarebbe riassorbito nell’adeguamento successivo. Si terrebbe conto anche dell’eventuale riduzione della speranza di vita relativa al biennio, che andrebbe però scalata dall’adeguamento successivo.
Invece, il Governo ha detto sì alla Commissione tecnica di studio (composta da Mef, ministeri Lavoro e Salute, Istat, Inps e Inail) che si occuperà della rilevazione “su base scientifica della gravosità” delle occupazioni, in base ai diversi lavori, “anche in relazione all’età anagrafica dei lavoratori”.
I risultati arriveranno “entro il 30 settembre 2018”, poi, “entro i 10 giorni successivi” il Governo presenterà al Parlamento una relazione sugli esiti.
Per il premier Paolo Gentiloni, quelle proposte dal governo sono “misure doverose. E’ giusto che vengano attenuati alcuni effetti nell’applicazione e nel metodo di calcolo dell’aspettativa di vita. Tutte cose sacrosante, di equità sociale e giuste in sé”.
Contro le deroghe si dice pure il direttore dell’Osservatorio sui Conti Pubblici dell’Università Cattolica Carlo Cottarelli, per il quale i rischi per il sistema pensionistico italiano “sono significativi” e “non lasciano spazio a un annacquamento delle riforme pensionistiche degli ultimi anni”.
Lo ritiene, il quale sottolinea come “ogni aggiustamento apportato al sistema pensionistico dovrebbe essere compensato da revisioni in senso opposto di altri aspetti del sistema, per non aggravare ulteriormente il resto del bilancio pubblico”, ha detto l’ex uomo della spending review.
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