La rateizzazione della buonuscita è incostituzionale? È quanto si chiede il Tar Lazio, sez. III-quater che, con ordinanza n. 6223/2022, ha sottoposto al giudizio della Consulta le norme che stabiliscono che l’Amministrazione deve dilazionare e rateizzare le somme dovute al pubblico dipendente dopo la cessazione del servizio.
Com’è noto, chi va in pensione non prende subito il TFS (la cosiddetta “buonuscita”), ma deve aspettare vari anni per vedersi liquidare le somme (piuttosto importanti) che gli sono dovute (da un minimo di 12 fino a 24 mesi).
Si aggiunga che mi riferisco solo alla prima rata.
Il trattamento di fine servizio viene (o meglio dovrebbe essere) corrisposto al termine del servizio.
Con una serie di leggi succedutesi nel tempo, però, si è stabilito di ritardare sempre di più la corresponsione del TFS, fino a prevederne addirittura la liquidazione anche in 3 rate, senza neppure stabilire precisamente quando sarà versata l’ultima rata.
È questo il motivo che ha indotto un dipendente pubblico (si trattava di un funzionario di polizia) a rivolgersi al Tar Lazio, sostenendo l’incostituzionalità della normativa in questione.
È del tutto pacifico in giurisprudenza che il trattamento di fine rapporto o buonuscita ha natura di retribuzione differita.
Vale a dire che il datore di lavoro (pubblico o privato) non corrisponde interamente al dipendente la retribuzione cui avrebbe diritto, ma ne accantona una parte che verrà liquidata solo all’atto della cessazione del rapporto.
Ovviamente, proprio perché si tratta di una parte della retribuzione, l’indennità che verrà poi corrisposta varierà a seconda dello stipendio percepito e della durata del servizio.
Il Tar ha osservato che poiché l’art. 36 della Costituzione stabilisce che il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla qualità e quantità del suo lavoro (e in ogni caso sufficiente ad assicurare e a sé ed alla sua famiglia una esistenza libera e dignitosa), la retribuzione non deve perdere il suo collegamento con la prestazione lavorativa, anche con riguardo alla tempestività della sua corresponsione.
“Ciò a maggior ragione se si considera che, notoriamente, il lavoratore, sia pubblico che privato, specie se in età avanzata, in molti casi si propone – proprio attraverso l’integrale e immediata percezione di detto trattamento – di recuperare una somma già spesa o in via di erogazione per le principali necessità di vita, ovvero di fronteggiare o adempiere in modo definitivo ad impegni finanziari già assunti, magari da tempo.” (pensiamo al caso di un mutuo contratto per acquistare la casa di abitazione per sé o per un proprio figlio).
Per queste ragioni, il Tar Lazio ha disposto la sospensione del processo e la trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale affinché si pronunci sulla legittimità costituzionale degli artt. 3, comma 2, del d.l. 79/1997 e 12, comma 7, del d.l. 78/2010, per contrasto con l’art. 36 della Costituzione.
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