Continua tenere banco la necessità di introdurre una norma che favorisca il pensionamento anticipato, in modo da superare il tetto a 67 anni imposto dalla riforma Monti-Fornero, che continuano a difendere la loro riforma del 2011 che è andata a peggiorare le condizioni previste dall’ex ministro del Lavoro Maurizio Sacconi.
In previsione della ripresa della confronto sulla riforma delle pensioni, che si formalizzerà lunedì 27 gennaio alle ore 11, quando i sindacati si incontreranno con la ministra del Lavoro, Nunzia Catalfo nella sede del ministero del Lavoro, va segnalata la proposta di Francesca Puglisi (Pd), sottosegretaria al ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, la quale ha detto che una soluzione condivisa potrebbe essere l’anticipo a 64 anni di età e 35 anni di contributi, quindi scendendo addirittura al di sotto dall’attuale ‘Quota 100’ (che però prevede minimo 62 anni con 38 di contributi minimi) e soprattutto senza penalizzazioni sul calcolo pensione.
Secondo la proposta Puglisi, quindi, i lavoratori che vantano quote di versamenti valorizzabili con il retributivo, manterrebbero tale stato più favorevole ai fini della formazione dell’assegno di quiescenza.
La sottosegretaria Puglisi ha detto che una soluzione che soddisferebbe le parti potrebbe essere quella di uscire dal lavoro “a 64 anni e 35 di contributi, senza penalizzazioni”, con “un anno di contributi in più alle madri per ogni figlio”, quindi approvando quel bonus mamma, di cui si parla da anni, peraltro senza limiti sul numero di figli.
Il bonus mamma sarebbe giustificato dal fatto che le donne (che nella scuola rappresentano l81% dei lavoratori) hanno in genere “carriere più discontinue e di conseguenza possono fare maggiormente fatica a raggiungere i 35 anni di contributi”, scrive Qui Finanza.
Per venire incontro ai giovani lavoratori, anche loro più soggetti a minore continuità lavorativa, Puglisi, penserebbe ad una “pensione di garanzia fino a 750 euro al mese, a integrazione dei contributi versati, a patto che abbiano almeno 20 anni di contributi”.
I sindacati, intanto, mettono le mani avanti. “Mi auguro che finalmente ci sia un confronto molto serio, che parta da dati di fatto, e soprattutto dai bisogni del nostro Paese e del bisogno di lavoro delle donne e degli uomini”, ha detto Annamaria Furlan, segretaria generale della Cisl.
Anche Furlan chiede “di riconoscere un anno di contributi per figlio per le donne lavoratrici, perché la maternità è un bene sociale, complessivo di una comunità, non solo individuale; creare in modo strutturale l’Ape sociale, individuando la gravosità per ogni professione (è stata istituita una commissione tecnica ndr), creando condizioni di separazione tra assistenza e previdenza, e poi, finalmente, aumentando le pensioni dei nostri anziani, da anni bloccate”.
Furlan auspica anche che si riesca a “costruire una pensione di garanzia per i nostri giovani che, di precariato in precariato, iniziano davvero ad avere prospettiva di essere futuri anziani poveri, e noi questo non lo accettiamo”.
Intanto, in Francia altre sei cittadini francesi su dieci, il 61%, considerano che Emmanuel Macron debba tenere conto della rivolta sociale e ritirare la riforma delle pensioni: è quanto emerge da un sondaggio realizzato dall’istituto Elabe per BFM-TV.
Solo il 39% ritiene invece che Macron “abbia ragione a fare questa riforma”, perché “era nel programma” elettorale che nel 2017 lo ha condotto all’Eliseo.
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