Sul fronte pensionistico, sta riscuotendo consensi e delusioni la presentazione della nota di aggiornamento al Def approvata dal Consiglio dei ministri all’unanimità nella tarda serata di giovedì 27 settembre: se è passata quota 100 per i lavoratori che hanno compiuto 62 anni con all’attivo almeno 38 anni di contributi, slitta invece al 2019 la discussione sull’uscita dal lavoro con 41 anni di contributi indipendentemente dall’età anagrafica.
Una mancata disposizione, quest’ultima, che ha gettato nello sconforto decine di migliaia di lavoratori del comparto privato e pubblico, tra cui moltissimi docenti e Ata.
Per le lavoratrici sotto i 62 anni o anche di più ma che non hanno i contributi necessari, nella manovra di fine anno dovrebbe tuttavia rimanere in piedi un’ultima spiaggia: si tratta dell’opzione donna’, cioè l’anticipo con il ricalcolo dell’assegno, che in base alle ultime indicazioni che trapelano da Palazzo Chigi dovrebbe essere confermata.
L’opzione-donna prevede l’uscita dal lavoro per le donne dipendenti (dei settori pubblici e privati) con 35 anni di contributi ed almeno 57 anni e tre mesi di età anagrafica (58 anni e tre mesi per le lavoratrici autonome)
Il prezzo da pagare per chi aderisce non è indifferente: ricordiamo che optando per l’opzione donna – introdotta con la Legge Maroni 242 del 2004 e ripresa dalla Legge Fornero del 2011 – il calcolo dall’assegno di quiescenza risulta ridotto pesantemente, di circa il 20-30 per cento.
Ad esempio, un assegno pensionistico netto di 1.500 euro, potrebbe essere ridotto a poco più di mille euro. E il taglio rimarrà tale per sempre.
Un prezzo da pagare, insomma, davvero non indifferente. Nella scuola, dove l’80 per cento dei lavoratori sono donne, la disposizione confermata dal Governo giallo-verde potrebbe comunque rappresentare una chance interessante da prendere in considerazione.
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