Sono questi i dati dello studio effettuato da ”Peter Pan” Onlus su 500 ragazzi italiani compresi nella fascia di età fra i 14 ed i 17 anni.
”I ragazzi sono stati reclutati per divisione di sesso nelle sei più grandi metropoli ( Roma, Milano, Napoli, Torino, Palermo e Catania) attraverso colloqui telefonici seguendo questo schema: Frequentazione di scuola media superiore, assenza di lutti primari in famiglia, discreta media scolastica.
Sono state rivolte tre domande: ”Che ne pensi della morte? Secondo te la morte è la fine di tutto? Pensi spesso alla morte?”.
Alla prima domanda il 45,7% ha risposto che si tratta ”di una condanna ingiusta”, mentre il 38,3% ha detto che è ”inevitabile” e il 16 % non ha saputo dare risposte certe.
La seconda domanda ha fatto registrare una sorpresa: il 33% dei ragazzi ha detto che ” la morte non è la fine di tutto, perché non è nemmeno sicuro che si muoia per sempre”
Abbiamo chiesto a questi ragazzi – ha detto Mario Campanella, giornalista e co-autore con Maria Rita Parsi del libro ”Maladolescenza: quello che i figli non dicono”, cosa significasse per loro questa frase e abbiamo ricevuto la risposta che si può rinascere in altre vite o in altre dimensioni”. Alla terza domanda il 22% ha risposto di pensare ”ogni giorno alla morte come soluzione dei problemi”.
Per quanto questo aspetto possa far preoccupare – ha aggiunto Campanella – “è da sottolineare che è pressoché comune a tutti gli adolescenti pensare al suicidio : è un dato che parte dallo Sturm and Drag ed è connaturato proprio a questa delicata fase di transizione”.
Per Campanella, infine, ”se c’è qualcosa di cui preoccuparsi è proprio l’atteggiamento ambiguo dinanzi alla fine della vita, continuato ad essere percepito come vago e virtuale”.