Disorientamento dopo la sospensione del vaccino AstraZeneca, la riammissione alla somministrazione dopo pochi giorni ad opera dell’Ema, con alcune “discordanze” che certo hanno contribuito a ingenerare qualche dubbio, così come le decisioni differenti assunte da diversi Paesi europei riguardo alla ripresa della somministrazione.
La conseguenza, peraltro attendibile, è una percentuale di rinunce a vaccinarsi con AstraZeneca (come riportato in un altro articolo), e non solo tra i docenti ma anche tra forze dell’ordine e militari, mentre alle convocazioni previste per le vaccinazioni con Pfizer riservato in questo periodo ancora ad ultraottantenni e adesso anche ai “fragili” si sono praticamente presentati tutti (almeno questo è il dato di Napoli, come leggiamo).
Personalmente penso che i cittadini vogliano una effettiva trasparenza per “soppesare” rischi e benefici al fine di valutare con cognizione di causa.
L’intervento del vicepresidente della Società italiana di ematologia
Nell’articolo pubblicato ieri, incentrato sul diritto all’informazione e agli errori di comunicazione, accennavo che servirebbero dichiarazioni come quelle di Sergio Siragusa, vice presidente della Sie (Società Italiana di Ematologia), professore ordinario di ematologia all’Università di Palermo nonché direttore dell’U.O. di ematologia del Policlinico di Palermo.
Lo scorso 16 marzo, quando cioè era già stata sospesa la somministrazione di AstraZeneca in attesa del pronunciamento dell’Ema (Agenzia europea per i medicinali), a ilgiornale.it Sergio Siragusa ha rilasciato la seguente dichiarazione: “Possono esserci manifestazioni di tipo citochinico alla somministrazione del vaccino, cioè il sistema immunitario reagisce con l’attivazione delle citochine (cellule a basso peso molecolare, prodotte dalle cellule del sistema immunitario, che possono indurre processi infiammatori, n.d.R.) e questo meccanismo indirettamente può attivare la coagulazione“. Tra le cause ci potrebbe essere quella collegata a chi ha già avuto un’esposizione asintomatica al virus avendo già gli anticorpi.
Quindi, “potrebbe esserci un’attivazione della coagulazione in maniera indiretta per l’attivazione delle citochine – evidenzia l’ematologo Sergio Siragusa – ma ciò deve ancora essere dimostrato scientificamente”.
Ma “quello che forse in pochi sanno, è che proprio il virus Sars-Cov-2 è in grado di attivare la coagulazione del sangue, perché la proteina Spike si lega con il recettore Ace2 presente sulle cellule endoteliali: l’endotelio è un organo che riveste i vasi sanguigni e modula la coagulazione, tant’è vero che i pazienti affetti da Sars-Cov-2 hanno un incremento degli eventi tromboembolici”, sottolinea Siragusa.
Leggiamo ancora su ilgiornale.it: “a tutti i pazienti con disturbi della coagulazione che chiedono informazioni sul rischio peri-vaccinale (specialmente con AstraZeneca) suggerisco di eseguire la vaccinazione, in quanto, proprio in questa popolazione di pazienti, è certamente più rischioso non vaccinarsi che farlo, come spiegato precedentemente”.
Queste affermazioni ci sembrano “sensate” e non dettate da esigenze che qualcuno potrebbe pensare possano derivare da ragioni commerciali una volta scelto dal’Ue come principale dal punto di vista numerico il vaccino che costava meno degli altri tra quelli utilizzabili in tempi più brevi (peraltro con una clausola nel contratto, quella del “Best reasonable efforts” – il massimo sforzo ragionevole, che ha suscitato perplessità e innescato polemiche pregresse con la stessa casa farmaceutica anglo-svedese) e le cui scorte adesso vanno utilizzate.
Diritto a una informazione davvero trasparente anche per non dare un pretesto alle tesi dei no vax… in agguato
Dicevo che le dichiarazioni del prof Sergio Siragusa forse risultano più accettabili ed efficaci di tante rassicurazioni quasi “a scatola chiusa”, perché invece descrivono un problema che può verificarsi anche se in casi rari ma mettono in rilievo che lo stesso problema è molto più facile che si produca nel caso di contagio al virus e quindi statisticamente rappresenta un pericolo maggiore. Insomma, il cittadino ha diritto alla trasparenza, anziché rassicurazioni che potrebbero apparire stereotipate, anche perché – come abbiamo già scritto nell’articolo di ieri – le incertezze derivate a volte da comunicazioni che lasciano dubbi possono purtroppo rappresentare un pretesto per le posizioni dei no vax contrari (sbagliando secondo noi) ad ogni forma di vaccino.
Ricordiamo che ci siamo soffermati nell’articolo di ieri, incentrato sul diritto all’informazione e agli errori di comunicazione, soprattutto sulle discordanze riscontrate nelle comunicazioni su AstraZeneca: dal dato numerico – che sembra cambiare in base a dichiarazioni differenti – dei casi letali registrati dopo la somministrazione del vaccino AstraZeneca, alla definizione dell’età di somministrazione: si è passati in pochissimo tempo dagli under 55 sino ai 79 anni, un bel balzo in avanti che ha contribuito a generare disorientamento, accresciuto infine forse anche dal fatto che la Francia nel riammettere il vaccino anglo-svedese ha deciso di somministrarlo però solo agli over 65. Ma anche a discordanze come “è sicuro, efficace, i benefici sono superiori ai rischi ed escludiamo relazioni tra casi di trombosi” e la somministrazione (affermazione di Emer Cooke, direttrice di Ema) e “sulla base delle evidenze disponibili e dopo giorni di analisi approfondita dei report clinici dei risultati in laboratorio, delle autopsie e di ulteriori informazioni dagli studi clinici, non possiamo ancora escludere definitivamente un legame tra questi casi rari” di trombosi e effetti indesiderati “e il vaccino” (frase della stessa Emer Cooke).
Ed abbiamo dato conto anche delle posizioni e delle decisioni differenti assunte da diversi Paesi europei (alcuni dei quali attendono evidentemente nuovi riscontri e analisi più approfondite) riguardo alla ripresa della somministrazione di AstraZeneca.
A quanto ammonta realmente la protezione vaccinale di AstraZeneca e come valutare il fattore “varianti”?
Ora ricordiamo, inoltre, che dubbi sono stati sollevati anche per quanto concerne i dati della protezione del suddetto vaccino: si è parlato inizialmente di una efficacia di circa il 60% (anche se comunque in tanti sottolineavano che in caso di contagio gli effetti del Covid sarebbero risultati più attenuati) per arrivare secondo alcune fonti a quasi il 90%. Insomma, oscillazioni rilevanti, qualcuno potrebbe dire che andando avanti con le somministrazioni si è capito che l’efficacia protettiva aumentava, però da altre fonti anche successive si attestava a poco più del 70%: insomma oscillazioni al rialzo o al ribasso.
Uno studio pubblicato su The Lancet riferisce che una singola dose assicura una protezione vaccinale costante nel 76% dei casi in un periodo compreso tra tre settimane e tre mesi e che andando oltre, con la seconda dose, la percentuale sale all’82%. Un dato, quello relativo all’efficacia che aumenta se la seconda somministrazione di AstraZeneca avviene a tre mesi di distanza dalla prima.
Poi a “frenare”, ma già in parte prima della momentanea sospensione, c’è il fattore “varianti”: è stato riportato che il vaccino di produzione anglo-svedese ha poca efficacia protettiva contro casi lievi e moderati della variante sudafricana, mentre dovrebbe proteggere dalla variante inglese (e da quella brasiliana?).
Differenze tecniche tra Pzifer, Moderna e AstraZeneca, in attesa anche del vaccino della Johnson & Johnson
Riportiamo intanto nella sintesi del sito www.nursetimes.org le differenze tra alcuni vaccini, le dosi necessarie per raggiungere l’immunità, l’età raccomandata per la somministrazione, reazioni avverse e conservazione. Nel confronto è inserito anche il vaccino della Johnson & Johnson, ancora però in fase di produzione e quindi attualmente non disponibile.
A proposito del rischio di trombosi o di altre “reazioni avverse”, potrebbe anche essere presa in considerazione l’opportunità di analisi precedenti alla somministrazione, magari un semplice esame del sangue, mirato all’acquisizione di dati ritenuti utili? Naturalmente è una semplice domanda di chi non ha competenze mediche.
Sul vaccino russo Sputnik pesano decisioni geopolitiche: ma i singoli Paesi europei non sembrano avere tutti lo stesso orientamento dell’Ue
C’è attesa anche per il vaccino russo Sputnik, già diffuso in Russia e in diversi altri Paesi e su cui l’Agenzia europea del farmaco ha avviato la valutazione, con Mosca che si dice pronta, una volta giunta l’approvazione, “a fornire vaccini per 50 milioni di europei a partire da giugno 2021”. Ma sul vaccino russo ci sono evidentemente ostacoli anche di carattere geopolitico da superare, visto l’ostracismo neppure troppo velato dell’Ue, quanto meno sicuramente della Commissione europea per la Salute (notizie che si possono approfondire sul sito de “lastampa.it”), mentre singoli Stati dell’Unione europea sembrano comunque decisi ad “accoglierlo” quando verrà approvato dall’Ema. Peraltro in Europa è già distribuito e utilizzato in alcune Nazioni non facenti parte dell’Ue (ma anche in Ungheria che invece ne fa parte), tra cui pure a San Marino.
Anche se il commissario europeo incaricato della campagna dei vaccini, Thierry Breton, ha detto stasera (come leggiamo su “ilmessaggero.it”) al Tg di TF1, in Francia, che l’Europa non avrà bisogno del vaccino russo (a parte che anche la Russia sta in parte nel Continente europeo, nd.R.): “Priorità ai vaccini fabbricati sul territorio europeo. Non avremo assolutamente bisogno del vaccino Sputnik V”.
Il segretario di Stato per gli Affari esteri della ‘Repubblica del Titano’, Luca Beccari, ha invece sottolineato “l’importanza della sinergia fra Stati: la battaglia contro il coronavirus non deve avere nessun connotato geopolitico e non deve conoscere confini“.