Per Centemero (Pdl), non serve la quantità degli insegnanti ma la qualità

A riportare la notizia è l’Agenzia parlamentare. “I dati – spiega l’Onorevole Centemero – consentono di capire meglio le scelte effettuate in questo triennio. Rispetto a Paesi come la Francia e la Germania, spesso presi a modello, che presentano una media 24-25 alunni per classe, la scuola italiana può vantare 21,45 alunni, con una percentuale solo dello 0,6 % di classi con più di 30 alunni e il 4 % di classi con meno di 12 alunni. I docenti sono un congruo numero di 750.000 per una popolazione scolastica 7 milioni 826 mila studenti, con un 0,1 % in più rispetto allo scorso anno. Il tempo pieno? La richiesta delle scuole é vertiginosamente aumentata dopo il maestro prevalente del 2008.
Dati questi che si commentano da sé. Il concorso per Presidi poi risponderà per il prossimo anno a tutti i bisogni delle scuole dimensionate. I dati parlano chiaro: bisogna evitare inutili allarmismi e strumentalizzazioni. La scuola di qualità non dipende dal numero di insegnanti ma dalle loro capacità. I docenti vanno valorizzati e i più meritevoli vanno pagati meglio. Serve una scuola nuova, anche per i giovani e per il merito”.
Tuttavia, aggiungiamo noi, la deputata del Pdl dimentica di dire che nella somma degli insegnanti italiani vengono compresi quelli di sostegno e di religione cattolica che in molte altre nazioni, Germania inclusa, sono a carico di altri ministeri.
Ma dimentica pure la specificità dell’istruzione italiana nella quale abbiamo una quota rilevante che lavora a tempo parziale, partime, e un’altra quota abbastanza robusta di spezzonisti, di insegnanti cioè che dividono una cattedra di 18 ore tra due e anche tre docenti.
All’estero invece è pressoché sconosciuto il precariato scolastico visto che il reclutamento avviene con regolarità, e non solo dei docenti ma anche dei presidi. All’estero ancora il Pil impiegato per la scuola supera abbondantemente quello italiano, mentre i nostri insegnanti sono i più vecchi d’Europa e pure i peggio pagati. Ma di dire questo spesso ci si dimentica.

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