Dopo il “learning to become”, il “learning service” o il superclassico “flipped classroom” vorremmo lanciare anche noi una metodologia innovativa: il “Rome wasn’t built in a day”.
Insegnare e imparare richiedono tempo: vale per la matematica, per una lingua straniera, per la capacità di leggere un testo, di comprendere il funzionamento di una cellula o le leggi della fisica, di interpretare un’opera d’arte o una poesia…
A pensarci, tutte le “riforme” della scuola degli ultimi tre decenni hanno in comune la sottrazione del tempo-scuola, una sottrazione che prende diverse strade: lo spostamento dell’attenzione dai contenuti disciplinari alla burocrazia, lo spezzettamento di percorsi continuativi e coerenti in “progetti” decontestualizzati, le “educazioni” prive di un’adeguata base conoscitiva, il rilievo spropositato assegnato agli strumenti digitali o la creazione di classi di trenta studenti, che costringe gli insegnanti a dedicare meno tempo a ciascuno studente (un’ovvietà troppo banale per l’elevata mente di qualche buro-patagogista, che individua invece come causa sicura delle difficoltà della scuola la mancata applicazione delle SUE idee).
Al posto del tempo, indispensabile all’elaborazione delle conoscenze e al consolidarsi della relazione educativa, si pubblicizzano soluzioni frettolose e astrattissime ricette, magari chiamate con nomi da duty-free shop aeroportuale (cfr. sopra).
L’ideologia stessa delle “competenze” tende alla soppressione della temporalità del soggetto e allo schiacciamento della stratificazione delle conoscenze su un “saper fare” poco pensato e tutto al presente. Ma ciò che si ottene in poco tempo si perde altrettanto velocemente, oppure non ha nessun valore.
Gruppo La nostra scuola
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