I lettori ci scrivono

Per far stare gli studenti sui libri, serve soprattutto l’incentivo del voto

Le iniziative volte a far amare ai nostri studenti lo “studio per lo studio”, a condurli ai libri per il puro piacere di studiare sono lodevolissime, ma a mio parere irrealistiche. Così la pensavo il giorno in cui assistetti alla conferenza di un pedagogo che disse fra il resto: “Dobbiamo arrivare a fare in modo che gli studenti, dovendo scegliere fra un pomeriggio in discoteca oppure un pomeriggio a studiare, scelgano spontaneamente e volontariamente un pomeriggio a studiare, perché lo studio è diventato per loro un piacere più grande della discoteca”.

Onestamente parlando, non ho mai sentito di nessun studente che la domenica sera o l’ultimo giorno delle vacanze di Natale o di Pasqua sprizzasse gioia da tutti i pori perché il giorno si tornava a scuola. Il 7 gennaio è sempre il giorno più tragico dell’anno scolastico, soprattutto se cade di lunedì

Così la pensavo allora e così la penso adesso che sono in pensione. Ho spesso domandato a tanti miei studenti: “Fra un pomeriggio in discoteca (ma il discorso vale anche per il cinema, lo stadio e quant’altro) e un pomeriggio sui libri, cosa sceglieresti?” E la risposta è sempre stata (c’era da dubitarne?): “La discoteca (o il cinema o lo stadio)”.
E alla mia successiva, quasi scontata domanda: “Ma perché vieni a scuola?”, la gamma di risposte era sempre la stessa: “I miei vogliono che io studi”, sono troppo giovane per lavorare” oppure anche “Altrimenti devo andare a lavorare e non ho voglia” e simili.

Un motivo che invece può tenere i giovani più o meno obbligatoriamente sui libri è proprio il vituperato, maledetto caro vecchio voto. E ricordo due episodi della mia vita scolastica: in 2^ liceo linguistico una volta rinunciai ad una domenica sugli sci per studiare storia. Il lunedì dopo fui interrogato e presi un bell’8. Rinunciare alla gita in montagna era servito! Anni dopo rinunciai ad una festa di sabato sera perché il lunedì dopo avevo un esame di letteratura inglese all’università. Anche in quel caso la rinuncia fruttò: presi 30.
Se avessi dovuto studiare per un’interrogazione e un esame senza voti, beh, credo proprio che a sciare ed alla festa sarei andato.

Daniele Orla

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