Uno dei peggiori problemi che devono risolve i dirigenti di ogni scuola è il mantenimento delle cattedre per evitare la soprannumerarietà di tutto il personale scolastico.
Una scuola presenta questo problema a causa del calo delle iscrizioni che pare segua la moda del tempo oltre che il calo delle nascite.
Una scuola in contrazione rischia poi la perdita della dirigenza e l’accorpamento con altri istituti. Il personale in esubero è costretto al trasferimento d’ufficio e questo pesa molto soprattutto dal punto di vista economico, per i maggiori costi per lo spostamento, ma anche dal punto di vista relazionale, perché in una nuova scuola bisognerà trovare un nuovo equilibrio con i colleghi e con il dirigente che vi si trova.
Tutto nasce dall’esigenza di rispettare una normativa che ha introdotto un numero minimo di alunni che ogni istituzione deve necessariamente raggiungere per evitare di perdere titolarità e dirigenza.
Da queste condizioni di partenza sono scaturite un numero elevato di conseguenze per la formazione scolastica. Complice anche il calo delle nascite, si è scatenata una lotta tra poveri per accaparrarsi l’utenza residua, della serie: mors tua vita mea.
Ma questa competizione non sempre è stata basata sull’offerta di un vero alto profilo formativo degli alunni che si iscrivano presso quella Istituzione piuttosto che in quell’altra. Questa forma di competizione prevede, infatti, un impegno troppo forte per l’utenza dei nostri tempi, cresciuta in una realtà plasmata nell’ottica del tutto semplice e tutto servito, grazie anche alla sempre più invasiva e pervasiva tecnologia che tutto e tutti avvinghia.
Quindi, la competizione si è spostata sul piano della semplificazione degli sforzi per conseguire il successo scolastico (ma poco quello formativo vero e proprio). Il concetto di sforzo e impegno per lo studio, classicamente inteso, che porta alla costruzione della propria personalità etica e culturale è quasi del tutto andato in prescrizione.
I nostri ragazzi ricevono oggi input di vario tipo da numerose attività formative parallele, spesso di discutibile pregnanza formativa. I percorsi formativi da valutare diventano così quelli che confluiscono a riempire il portfolio dello studente dove, lo studio di alcune discipline, potrebbe non essere stato contemplato. La valutazione diventa in tal modo meno oggettiva sui saperi tradizionali rendendo, in cambio, più ludica ed accogliente l’Istituzione scolastica che segue tale politica educativa.
Così la Scuola secondaria di II grado è diventata la Scuola delle “competenze specifiche” e dell’”incompetenza generale”. Poco sta restando della Scuola dei saperi essenziali. Tutto questo enorme problema può essere ridotto?
Tutti i Governi hanno sempre dato centralità alla Scuola come motore indispensabile per la crescita sociale ed economica del Paese, ma quasi sempre ciò è stato fatto più a parole che con fatti concreti. Di soldi nella Scuola se ne sono spesi e se ne continuano a spendere anche troppi. Però quando si tratta di fare delle scelte che possano risolvere (anche solo in parte) certi problemi si fa esattamente l’opposto.
Ad esempio (scusate la simplicitas politica), perché non abbassare opportunamente il numero minimo di iscritti che deve avere un istituto per non dover chiudere battenti? E perché non ridurre il numero massimo di iscritti che può avere una data Istituzione scolastica ponendo un limite anche al numero di tali specifiche istituzioni che possono essere presenti sul territorio di competenza, permettendo così la ridistribuzione dell’utenza negli altri tipi di istituti? Ciò garantirebbe la sopravvivenza di molti Istituti professionali e tecnici ormai in agonia e dai quali vengono fuori importanti e necessarie figure professionali.
Spesso è più un passa parola dell’utenza che orienta le scelte, oltreché un luogo comune che fa vedere gli istituti professionali e tecnici meno “abbienti” rispetto ai licei. Insomma, se si vogliono (o meglio, se si devono) spendere dei soldi nella Scuola perché non si provvede a dare un bonus viaggio mensile a quei docenti che, diventati soprannumerari, sono costretti a spostarsi in altra sede, anche se in ambito territoriale?
Ciò ridurrebbe l’ansia della soprannumerarietà e garantirebbe, probabilmente, una maggiore oggettività valutativa dei docenti, spesso affetti da eccessivo “buonismo”, perché così sentirebbero meno l’obbligo di far “quadrare i numeri” per non far perdere utenza alla propria scuola. Ed anche i dirigenti sarebbero più liberi da quell’”ansia da prestazione” che li vede costretti a far quadrare quei numeri, incalzati, magari, da docenti troppo preoccupati. Ed infine, ma non per ultimo, anche il quadro formativo dell’utenza scolastica se ne avvantaggerebbe, se venisse applicato un maggior rigore valutativo, potendo così, con più coerenza, parlare di merito!
Giuseppe D’Angelo
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