Pensiero non richiesto ma stasera mi sento polemica e anche un po’ arrabbiata riguardo a questo argomento, quindi mi scuso in anticipo. Voglio partire dal fatto che negli ultimi anni, il mondo dell’istruzione ha vissuto una serie di cambiamenti profondi e spesso disorientanti, soprattutto per chi, come me, ha sempre visto l’insegnamento come una vocazione, non solo come un lavoro. Mi riferisco, in particolare, al TFA (Tirocinio Formativo Attivo), un percorso fondamentale per formare insegnanti di sostegno e curricolari, figure essenziali per garantire un’educazione inclusiva e di qualità, soprattutto per quei bambini e ragazzi che affrontano difficoltà speciali.
Il TFA, sin dalla sua nascita, aveva l’obiettivo di selezionare e formare insegnanti competenti, motivati e preparati, capaci di affrontare le complesse sfide del sistema educativo, in particolare per il sostegno agli alunni con bisogni educativi speciali.
La selezione era rigida, con prove d’ingresso difficili e una preparazione teorico-pratica intensa, per garantire che solo chi avesse una vera dedizione e una solida preparazione potesse accedere alla professione. Tuttavia, le riforme introdotte negli ultimi anni hanno alterato significativamente questa realtà. Le politiche educative hanno progressivamente allentato i requisiti di accesso, aumentato i posti disponibili e, in alcuni casi, ridotto il rigore della formazione.
Questi cambiamenti sono stati spesso giustificati con la necessità di colmare le carenze di organico nelle scuole, ma hanno avuto un effetto collaterale molto negativo: hanno abbassato la qualità della preparazione e aperto le porte a chi vede il TFA solo come un’opportunità per ottenere un “posto fisso” e non come una missione educativa.
Mi fa rabbia vedere persone che, senza una vera passione o comprensione del ruolo, decidono di tentare il TFA semplicemente perché lo vedono come una via sicura verso la stabilità lavorativa. Non si rendono conto che insegnare, e in particolare insegnare a bambini e ragazzi con difficoltà, non è un lavoro che si può improvvisare.
Richiede anni di studio, di preparazione e, soprattutto, di dedizione autentica. Questi ragazzi meritano insegnanti che sappiano affrontare le loro sfide con competenza e amore, non persone che si sono avvicinate a questa professione solo per comodità.
Il problema è duplice. Da una parte, abbiamo bambini e ragazzi che, più di altri, hanno bisogno di essere seguiti da figure preparate, empatiche e motivate. Non si tratta solo di applicare tecniche didattiche: occorre comprendere le loro necessità individuali, saper adottare strumenti specifici e metodi innovativi, conoscere la loro mente e le loro difficoltà.
È un compito delicatissimo, che può fare la differenza tra un’esperienza scolastica positiva e una vita intera di frustrazione e insuccessi. I ragazzi con bisogni speciali meritano di essere accompagnati da persone che lo fanno per amore, per passione, per un senso profondo di responsabilità.
Dall’altra parte, ci sono professionisti come noi – pedagogisti, educatori, insegnanti – che da anni investono energie, tempo e sacrifici per formarsi in questo campo. La nostra scelta non è dettata dalla ricerca di un lavoro stabile, ma da una vera vocazione. Studiamo per migliorare la vita dei nostri alunni, per dare loro gli strumenti per affrontare il mondo con più sicurezza e serenità. Eppure, ci troviamo a dover competere con chi ha scelto questo percorso per convenienza, non per passione.
Le riforme dell’istruzione hanno creato un sistema in cui è diventato troppo facile accedere al percorso del TFA senza la preparazione adeguata. È una situazione che danneggia non solo noi, che da anni ci dedichiamo con impegno a questo lavoro, ma soprattutto i ragazzi, che hanno bisogno di insegnanti competenti e preparati, in grado di dare loro l’attenzione e il supporto che meritano.
Questi cambiamenti legislativi, che hanno reso più facile l’accesso al TFA, sembrano ignorare l’importanza della qualità nella formazione degli insegnanti di sostegno. Il risultato è un’educazione meno efficace per i bambini con difficoltà e un ambiente di lavoro in cui la passione e la dedizione vengono messe in secondo piano rispetto alla stabilità economica. Ma la stabilità del posto di lavoro non dovrebbe mai essere il primo motivo per diventare insegnanti, soprattutto in un campo così delicato. Il TFA deve tornare a essere un percorso per persone davvero motivate, preparate e competenti, che vedono nell’insegnamento una missione e non una semplice opportunità professionale. Perché alla fine, a pagarne le conseguenze, sono i ragazzi: bambini e adolescenti che meritano di avere accanto figure che sappiano guidarli, sostenerli e incoraggiarli nel loro cammino scolastico e di vita.
In conclusione, dobbiamo riflettere sull’importanza di formare insegnanti che abbiano davvero a cuore il benessere degli studenti, e specialmente di quelli con bisogni educativi speciali. L’insegnamento non può essere un ripiego o una scorciatoia verso il posto fisso, ma una scelta consapevole e appassionata.
Solo così possiamo garantire un futuro migliore a questi ragazzi e restituire dignità e valore alla professione educativa.
NON POSSIAMO PERMETTERE che questi ragazzi siano affidati a persone che, dall’oggi al domani, decidono di intraprendere questa strada senza una reale preparazione. Questi bambini hanno bisogno di insegnanti aggiornati, che abbiano studiato a lungo per capire a fondo le loro difficoltà, che conoscano gli strumenti e i metodi giusti per aiutarli, ma soprattutto che comprendano la loro mente e le loro esigenze. Non basta “fare” l’insegnante: serve farlo con amore e passione, con la consapevolezza della responsabilità che questo ruolo comporta. Solo così possiamo dare a questi ragazzi il sostegno di cui hanno davvero bisogno.
Cristiana Anna Guerriero
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