“Ci si scalda con la legna che si ha”, ha esclamato alla fine di ottobre il ministro Bussetti, proveniente dai ruoli della dirigenza scolastica, con riferimento alle risorse che il “Governo del cambiamento” avrebbe destinato al comparto dell’Istruzione.
E questa sarebbe anche una non-notizia, trattandosi in fondo di dichiarazioni in perfetta linea con le politiche degli ultimi decenni: il personale (non dirigente) della scuola occupa il penultimo posto nella classifica delle retribuzioni erogate nella Pubblica Amministrazione, a brevissima distanza dal fanalino di coda (vedasi tabella per le retribuzioni annue del personale non dirigente; dati ufficiali ARAN [1]). Ci fosse al potere il centrodestra, il centrosinistra o i cosiddetti “tecnici”.
Ma tacciare l’attuale Esecutivo di immobilismo e continuità col passato non è giusto. Che cambiamento vi sia, lo attesta in modo inequivocabile il rinnovo del contratto per la dirigenza scolastica, recentemente sottoscritto.
Infatti, i dirigenti scolastici hanno finalmente ottenuto la tanto agognata perequazione della parte fissa della retribuzione di posizione a quella degli altri dirigenti delle pubbliche amministrazioni (in tal caso evidentemente non si è ritenuto applicabile il vincolo di aumenti legati all’inflazione programmata).
Ci si fosse fermati all’incremento contrattuale, previsto per tutto il pubblico impiego dalla finanziaria 2018 (3.48% dello stipendio tabellare), l’aumento sarebbe ammontato a 1.625 euro annui (circa 126 euro per 13 mensilità). Ma i sindacati di categoria sono meritoriamente riusciti ad ottenere quelle risorse aggiuntive (un surplus di legna?) sui tre esercizi finanziari 2018, 2019 e 2020 che per altre categorie di lavoratori per mille validi motivi non sono invece possibili. Dunque, pieno adeguamento della retribuzione di posizione parte fissa (oggi pari a circa 3.500 eur).
Così, a decorrere dal 1 gennaio 2018, i dirigenti scolastici percepiranno un aumento di 2.603 eur su base annua, cui si aggiunge, dal 31 dicembre 2018, l’ulteriore incremento di 6.405 eur: raggiunto così l’obiettivo del valore perequativo di 12.565 eur annui.
Per dare un’idea più precisa: ciò significa un aumento di oltre 800 (ottocento) eur lordi al mese, equivalenti a circa 460 eur netti medi per 13 mensilità.
Contemporaneamente, per il personale (non dirigente) della scuola la legge di bilancio prevede aumenti mensili lordi venti volte inferiori: 40 (quaranta) eur. pari a una ventina di euro netti mensili. Inutile ogni commento, poiché la situazione si commenta da sé (eventualmente, il personale scolastico chieda chiarimenti alle proprie rappresentanze sindacali).
Beninteso: la diversità di trattamento della dirigenza scolastica rispetto alle altre dirigenze statali era un’anomalia che è giusto avere superato, trovando tutta la legna necessaria a un magnifico falò natalizio che metta allegria (per tornare alle espressioni oracolari con cui il ministro Bussetti ritiene di poter liquidare la questione). Ma altrettanto anomali (per non dire indegni di un Paese civile) sono anche i livelli retributivi del personale della scuola italiana (che, almeno per quanto riguarda la docenza, è in possesso di laurea e abilitazione, a differenza di molte altre categorie non dirigenziali del pubblico impiego, in termini retributivi trattate assai meglio).
Il 12 ottobre u.s. il vicepremier Di Maio (ultimo di una lunga serie di ministri prima di lui, di ogni colore politico), ha dichiarato: “prima di tutto dobbiamo avere soldi e risorse per ristrutturare le scuole, rilanciare i programmi didattici, ma soprattutto dare un compenso nella media europea a tutti i docenti italiani”.
Ma per definire anomali e indecenti i compensi dei docenti italiani non serve guardare a fantasiose “retribuzioni europee” (ce lo si scordi: qui non c’è “perequazione” che tenga; ci si accontenterebbe che i ministri di turno almeno la finissero con le “sparate” al riguardo. Solo per una forma di elementare rispetto dell’intelligenza degli interlocutori).
Invece, basterebbe semplicemente considerare i dati ufficiali ARAN, relativi a quanto percepito da tante altre categorie di personale della P.A italiana. In fondo, non servirà attendere tanto a lungo per capire se il “Governo del cambiamento” meriti tale enfatica denominazione solo per certe categorie e non per altre.
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