Categorie: Estero

Per il popolo delle favelas gli stadi sono esclusi

“Da una parte sono stati investiti miliardi per costruire gli stadi per i Mondiali. Non molto lontano le ‘cracolandie’, realtà da pugno nello stomaco nelle quali il narcotraffico miete migliaia di vittime tra bambini e adolescenti”, dice il sacerdote che ogni giorno mette a rischio anche la propria vita.
“E’ montata la rabbia del popolo che ha bisogni fondamentali e, accanto agli stadi modello Fifa come sono stati ribattezzati, chiede ospedali, scuole, case modello Fifa. Sono in particolare i giovani che hanno una istruzione che, avendo una coscienza maggiore, si esprimono con la protesta. Il governo vuole reprimerli perché un atto di protesta, in questo tempo, viene visto quasi come un atto di terrorismo”.

Si prenda Fortaleza, dove ha giocato il Brasile: “E’ tra le città più violente del mondo. E attorno allo stadio la polizia è in assetto di guerra, e i poveri non possono avere accesso”.
“C’è la sensazione che il Paese non avrà un grande utile dai Mondiali. Il Brasile, con tutta franchezza non sta giocando molto bene, e la sensazione è che se non vincerà la Coppa gli animi si esacerberanno ancora di più con tutto ciò che può conseguire dalla protesta. Da una parte la speranza del Brasile, dall’altra il malcontento, il sogno che va a cozzare contro la delusione. La situazione è esplosiva”.
“Sta succedendo qualcosa che riguarda tutti, nessuno escluso, e che dobbiamo vedere”, conclude il sacerdote che nella Baixada Fluminense ha iniziato ospitando i bambini di strada in casa sua, fondando poi la ‘Casa do Menor’ che oggi accoglie circa 1200 bambini, ventidue comunità, tre asili, otto scuole, sedici officine professionali, otto case famiglia, tre mini ambulatori e sei case di passaggio.

Pasquale Almirante

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