Da qualche ora un nuovo nome è entrato fra i papabili alla carica di Presidente della Repubblica: si tratta di Sabino Cassese, giurista di altissimo profilo con un curriculum pressoché sterminato.
Un repertorio delle sue pubblicazioni disponibile in rete contiene circa 2mila titoli fra libri, articoli scientifici, articoli divulgativi, editoriali e interventi a convegni e seminari.
Fra le cariche più importanti rivestite vanno ricordate quella di Ministro per la funzione pubblica e di giudice della Corte costituzionale.
Non si contano le sue partecipazioni in commissioni ministeriali sui temi amministrativi più significativi.
Il suo nome è legato anche alla nascita della autonomia scolastica perché fu proprio lui a presentare la relazione tecnico-giuridica agli Stati Generali della scuola del 1990.
Il modello attuale – sosteneva Cassese nel 1990 – non è più sostenibile perché “l’istruzione non è più servizio collettivo di tipo statale, ma servizio collettivo pubblico, retto da professionisti la cui attività non è riducibile al modello amministrativo di tipo burocratico”.
La riforma che proponeva Cassese si ispirava ad alcuni principi semplici ma potenti:
riconoscere che l’istruzione, in quanto servizio collettivo pubblico, può essere erogata da istituti autonomi;
attribuire agli istituti scolastici autonomia non soltanto didattica, organizzativa ed amministrativa, ma anche contabile e di gestione del personale;
spogliare l’apparato centrale dei compiti gestionali attribuendogli funzioni di determinazione di standard e di guide-linea e funzioni di valutazione;
sopprimere gli uffici provinciali (provveditorati agli studi).
Già nel 1990 Cassese segnalava poi che “la determinazione ministeriale di programmi è certamente da abbandonare, sostituendola con l’indicazione delle finalità piuttosto che dei capitoli di ciascun insegnamento”.
“Si potrebbe pensare anche – aggiungeva – all’indicazione orientativa di più programmi o percorsi formativi, tra i quali lasciare una scelta all’insegnante; meno facile, ma pur necessario il passaggio dall’indicazione obbligatoria nazionale degli insegnamenti ad un ordinamento misto, con materie stabilite dal centro, uniformemente, e materie lasciate all’opzione delle scuole”.
“Più problematica e complessa – puntualizzava Cassese – si presenta l’autonomia nella provvista e nella gestione dei personale. Ma senza di essa, non vi sarà autentica autonomia”.
E’ vero, ammetteva Sabino Cassese, che tale modello potrebbe dare spazio ad abusi ma non bisogna dimenticare che “l’amministrazione centralizzata o provincializzata del personale non ha Impedito, finora, l’abuso del cosiddetto precariato, con conseguenti passaggi nei ruoli”.
Senza considerare che “la necessità di conciliare una gestione centrale, o centralmente stabilita, con le esigenze dei singoli istituti, ha condotto ad introdurre procedure faticose, lunghe e costosissime, che si snodano attraverso troppi uffici e impegnano troppo personale”.
Ma la relazione del grande giurista che senso ha a distanza di più di 30 anni?
“Le pagine di Cassese – afferma Emanuele Contu, dirigente scolastico dell’Istituto professionale Puecher-Olivetti di Rho (MI) che nel suo ufficio tiene in bella vista una copia della relazione del 1990 -sono una bussola, una guida essenziale all’autonomia, che di tanto in tanto sento il bisogno di rileggere. Dentro c’è l’idea che le scuole debbano e possano essere il luogo delle autonomie e della responsabilità. E che alla visione napoleonica in cui gli istituti scolastici (e quindi gli insegnanti, i dirigenti e in fondo anche gli studenti) sono sudditi del Ministero, debba sostituirsi una dinamica rinnovata con le scuole al centro e le strutture dello Stato al servizio. È la strada più difficile, ma anche l’unica possibile per valorizzare l’enorme potenziale di competenza professionale e passione educativa che abita le nostre scuole”.
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