Il ministro Bianchi parla all’Aspen Institute (dal sito istituzionale: “The Aspen Institute nasce negli Stati Uniti nel 1950 per iniziativa di un gruppo di intellettuali e uomini di affari americani convinti della necessità di rilanciare il dialogo, la conoscenza e i valori umanistici [sic] in una realtà geopolitica internazionale complessa e in evoluzione (…). In Italia l’Istituto inizia la propria attività nel 1984 con una forte caratterizzazione transatlantica. La missione di Aspen Institute Italia è l’internazionalizzazione della leadership imprenditoriale, politica e culturale del Paese attraverso un libero confronto tra idee e provenienze diverse per identificare e promuovere valori, conoscenze e interessi comuni. Il “metodo Aspen” privilegia il confronto e il dibattito “a porte chiuse”, favorisce le relazioni interpersonali e consente un effettivo aggiornamento dei temi in discussione. Attorno al tavolo Aspen discutono leader del mondo industriale, economico, finanziario, politico, sociale e culturale in condizioni di assoluta riservatezza e di libertà espressiva”).
Che cosa dice il ministro in un consesso che del dibattito a porte chiuse e dell’assoluta riservatezza fa una regola – e se ne vanta? (a scuola non amiamo il metodo Aspen. Amiamo invece le porte aperte. E i cuori, e le menti. E le finestre, anche: economica soluzione ministeriale, d’altronde, per combattere il covid negli ultimi due anni. L’Aspen probabilmente approverebbe una gestione tanto parsimoniosa della spesa pubblica).
“In Italia, in 4-5 anni, dobbiamo riaddestrare 650mila insegnanti per andare incontro ad un insegnamento adeguato al futuro digitale e all’interconnessione globale che si è ormai prospettato” (Ansa).
“Riaddestrare”: strana scelta di parole. Il verbo sembrerebbe più applicabile a un cane, che a un docente. Ma staremo forse a guardare la forma? Andiamo alla sostanza! E la sostanza, qual è?
“Partecipando al convegno Ethics and Artificial Intelligence Confirmation, promosso dall’Aspen, Bianchi ha detto che per la formazione degli insegnanti italiani “abbiamo investito 800 milioni”: in media, si tratta di 1.230 euro per ogni insegnante. (…) Dobbiamo affrontare questo percorso – ha spiegato – per introdurre nella scuola l’intelligenza artificiale, la digitalizzazione collegata alla questione etica”.
Lasciamo pure perdere la “digitalizzazione collegata alla questione etica”, flatus vocis che ha la realtà di un ircocervo.
Andiamo nel concreto, invece: per il “riaddestramento” (pedagogia di Stato?), fiumi di denaro. Per il rinnovo del contratto, ormai scaduto da anni, della categoria peggio retribuita della pubblica amministrazione e ormai vicina alla soglia di povertà… rivolgersi pilatescamente al MEF (Qualcuno ha dubbi su come finiranno le “battaglie titaniche”?).
Ma il punto in fondo non è neppure questo: la presa in giro i docenti italiani la fiutano da lontano e vi hanno ormai fatto l’abitudine. La questione seria dovrebbe invece essere la Costituzione italiana, sulla quale (mi risulta) i ministri giurano e di cui è garante il Presidente della Repubblica: “L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento”. Poche, meravigliose, semplici e conclusive parole, quelle dell’articolo 33, di cui noi docenti non ci dovremmo dimenticare mai.
Ecco che allora per norma di legge si potrà anche imporre a un docente di seguire obtorto collo un qualche costoso (per lo Stato) “riaddestramento” in tema di “uso didattico del digitale”, o di qualsiasi altra miracolistica stregoneria tecnocratica, con la quale forse si intenda affrontare la complessità e la bellezza della relazione educativa (difficilmente nota a seri uomini di affari che avranno ben altre e più importanti questioni con cui fare quotidianamente i conti).
Ma occorre nel contempo anche essere consapevoli che, almeno finché l’art. 33 non sarà “riformato” da un qualche governo “tecnico”, nessuno potrà mai obbligare un professore degno di questo nome ad adottare metodologie che non condivida e che anzi egli magari ritenga, in scienza e coscienza, addirittura controproducenti per la crescita culturale dei giovani che gli vengono affidati.
Conclusione: quell’ “addestramento” sarà stato per il docente puro tempo perso e per lo Stato puro spreco di risorse: una cosa, quest’ultima, che probabilmente neppure l’Aspen approverebbe.
Ivan Cervesato
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