Categorie: Politica scolastica

Per la scuola pochi soldi, pochi laureati. Fedeli: sta cambiando. Sindacati: atto voluto

Con l’inizio delle lezioni, l’Ocse è tornata a bacchettare l’Italia per il basso investimento sull’istruzione, i pochi laureati, i troppi abbandoni precoci e Neet.

La ministra dell’Istruzione, Valeria Fedeli, non ha tardato a replicare punto per punto. Sostenendo che il Governo non sta a guardare, ma è impegnato per far ritornare l’Italia in posizioni soddisfacenti e non tra le ultimissime dove ora si posizione rispetto ai tanti Paesi dell’area Ocse.

“Incrementare il numero di laureate e laureati nel nostro Paese è uno degli obiettivi che ci siamo prefissati e verso il quale ci stiamo già muovendo. I dati certificati oggi dall’Ocse confermano un quadro che conosciamo e rispetto al quale il Governo sta mettendo in campo azioni mirate”, ha detto la ministra.

“Le risorse per il sistema universitario sono naturalmente il primo punto da mettere all’attenzione”, spiega Fedeli. “Quest’anno il Fondo per le Università aumenta dell’1%, crescerà del 4,2% nel 2018. Significa più risorse per il sistema, anche per il diritto allo studio, l’orientamento, la qualificazione dei percorsi. Sul diritto allo studio abbiamo messo in campo più finanziamenti, stabilizzando il Fondo nazionale a 217 milioni, ma anche nuovi strumenti di accesso per le fasce più deboli, come la no tax area per chi ha un Isee fino a 13.000 euro e tasse ‘calmierate’ per chi è fra i 13.000 e i 30.000 euro”.

E ancora: “Stiamo mettendo in campo nuove politiche per l’orientamento e nel Fondo di finanziamento di quest’anno abbiamo anche 7,5 milioni per interventi di sostegno alle studentesse e agli studenti diversamente abili o con disturbi specifici di apprendimento e 64,2 milioni per il cosiddetto Fondo giovani (borse di mobilità internazionale, incentivi per l’iscrizione alle lauree scientifiche e a quelle di particolare interesse nazionale)”, conclude Fedeli.

Quanto al finanziamento del sistema di istruzione, “i dati diffusi oggi – specifica la ministra – si riferiscono al 2014. Da allora, con la riforma Buona Scuola e le successive leggi di bilancio, sono stati fatti investimenti importanti, tre miliardi a regime sulla scuola, che si evidenzieranno nei prossimi Rapporti dell’Ocse. Così come sono aumentati gli investimenti per l’Università. C’è già stato un cambio di passo, un impegno che intendiamo portare avanti”.

Di tutt’altro tenore, le reazioni sindacali. Alla luce di questi numeri, secondo il segretario generale della Flc-Cgil, Francesco Sinopoli, “per il sistema di Istruzione e Ricerca serve un investimento straordinario nella prossima legge di stabilità finalizzato alle infrastrutture, al diritto allo studio, ai salari, alla stabilizzazione dei precari e a nuove assunzioni”.

“La scarsità dei finanziamenti sta radicalmente minando – continua – l’efficacia del sapere, pregiudicando le opportunità di ragazze e ragazzi, di donne e di uomini, che non possono realizzare sogni e aspettative e non riescono a contribuire al benessere collettivo del paese. E’ ora di cambiare radicalmente pagina e prospettiva, prima che sia davvero troppo tardi per tornare indietro”.

“In Italia (5%) e in Turchia (4%), solo una piccola percentuale di studenti – continua Sinopoli – ha i genitori laureati e questa percentuale ha una probabilità molto maggiore degli altri di conseguire una laurea, dimostrando in questo modo che il sapere e lo studio ormai non funzionano più come quello che si definiva ‘ascensore sociale'”.

 

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Altre organizzazioni sindacali paventano l’intenzione, da parte di chi amministrazione Scuola e Università in Italia, di voler rimanere a fondo nelle classifiche Ocse.

“L’Italia non investe in istruzione, per scelta e non per contrazione della spesa”, sostiene il segretario generale della Uil Scuola, Pino Turi, facendo riferimento a quanto scritto nel rapporto Ocse: “i bassi livelli di spesa sono indice di un cambiamento nelle priorità pubbliche piuttosto che di una contrazione generale di tutte le spese governative”.

Per Turi servono “più risorse per la scuola, per evitare che, un sistema che ancora tiene in termini di risultati e di qualità (ad esempio il sistema della scuola dell’infanzia, con tassi di frequenza altissimi, 97%, fa notare Turi) in presenza di un consistente divari, in termini di investimenti, possa determinare squilibri nel sistema-Paese, difficilmente recuperabili. Sono considerazioni che dovrebbero indurre il Governo – sostiene il sindacalista – a chiudere rapidamente il negoziato per il rinnovo contrattuale del personale della scuola, in modo da poter impegnare le risorse necessarie nella prossima legge di Bilancio”.

Turi si sofferma quindi sulla stagnazione dei livelli delle retribuzioni. “In prospettiva – commenta Turi – il divario esistente nella componente femminile, farà aumentare ancora di più il divario di genere tra i docenti del sistema scolastico italiano che, invece va riequilibrato. E’ un fenomeno, quello della femminilizzazione della scuola, che si può contrastare solo con politiche d’investimento che rendano più attrattiva la professione docente, la più bella del mondo, sia in termini di status che di reddito”.

Pure per Anief-Cisal, i dati Ocse risultano frutto di una “logica di risparmio, ma anche una precisa scelta”. Il sindacato aggiunge che l’Italia è l’unico Paese dell’Ocse che dal 1995 non ha aumentato la spesa per studente nella scuola primaria e secondaria a dispetto di un aumento in media del 62% degli altri. La tendenza al risparmio è storia vecchia: l’Italia già nel 2000 spendeva il 2,8% in meno della sua spesa pubblica rispetto alla media OCSE (Italia 9,8% – Ocse 12,6%). Dieci anni fa, la nostra Penisola era sempre all’ultimo posto.

Per il presidente Anief, Marcello Pacifico, “si continua a pensare che gli investimenti per la formazione giovanile rappresentano un costo e non un investimento. Addirittura, siamo arrivati ad alzare le barriere nelle Università pubbliche. Bene ha fatto il Tar del Lazio a bocciare il numero chiuso per le facoltà umanistiche alla Statale di Milano”.

“Ora, invece di incrementare di almeno un punto percentuale la spesa per l’istruzione, come ha da tempo chiesto il sindacato assieme a tutta l’opinione, scopriamo addirittura che la spesa per tutto il ciclo formativo fino all’Università è scesa del 9% in pochi anni”.

“È inutile ricordare ai nostri governanti che formare il capitale umano significa credere nella capacità evolutiva e lavorativa umana: lo sanno bene, ma remare contro questo obiettivo è una precisa scelta, che va oltre il risparmio dei soldi pubblici, sposandosi evidentemente con la necessità di tenere basso il livello culturale di quello che una volta chiamavano il Bel Paese”, conclude il sindacalista.

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Alessandro Giuliani

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