Incredibile, ma vero: su chi grava di meno l’imposizione fiscale mondiale? Sui multimiliardari: aliquote fiscali massime effettive corrispondenti — su scala globale —allo 0,5% del loro patrimonio. E ciò avviene mentre per Scuola, sanità, infrastrutture, trasporti e ambiente lo Stato italiano stanzia somme del tutto insufficienti. Al contrario, la classe media italiana paga percentuali cospicue del proprio reddito. Per i docenti che guadagnano fino a 28.000 euro, l’aliquota IRPEF è del 23%; da 28.000 a 50.000 di reddito si applica il 35%; sopra ai 50.000 il 43%.
L’Italia è uno dei Paesi col PIL nominale più alto al mondo: ottavo posto secondo il Fondo Monetario Internazionale, la Banca Mondiale e la Central Intelligence Agency (la celeberrima CIA). Tuttavia da quattro decenni noi italiani siamo assuefatti (tanto da non farci nemmeno più caso) ai continui tagli su sanità e istruzione. Mentre debito pubblico e spese militari volano, ai trasferimenti generali e alla spesa sanitaria va solo il 13,1% della spesa complessiva; all’istruzione il 5,9% (4,1% del PIL nel 2022, mentre la media UE è al 4,7); l’1% alla tutela dell’ambiente.
Continua intanto la grande evasione fiscale delle multinazionali. L’Osservatorio fiscale dell’Unione Europea (EUTAX observatory) calcola in 950 milioni di euro (1.000 miliardi di dollari) i profitti trasferiti dalle corporations nei paradisi fiscali solo nel 2022.
Purtroppo, però, il problema non è solo l’evasione. In ballo ci sono anche precise politiche economiche e fiscali, che permettono alle grandi aziende (e ai loro padroni) di pagare cifre irrisorie rispetto ai propri profitti.
Lo denunciano da anni le inchieste giornalistiche di testate importanti. Non ultimi il quotidiano parigino Le Monde e il berlinese Die Tageszeitung, che sottolineano la globalità del fenomeno. Per le grandi multinazionali le imposte sono minime.
Inoltre le aziende usano espedienti (leciti nei loro paesi), creando scatole cinesi di holding e/o investendo nel mattone (settore non sempre attentamente monitorato). Gli elettori non paiono, ciononostante, accorgersi che gli eletti sfornano spesso leggi fiscali a vantaggio dei miliardari.
Complice l’ideologia neoliberistica: secondo la quale lo Stato non deve disturbare né l’economia, né le imprese private, né il libero fluire del dio Denaro negli argini del dio Mercato. Gli stati quindi si comportano come aziende, in gara tra loro per attrarre capitali abbassando l’imposizione fiscale per i capitalisti: una competizione fiscale al ribasso, onde soffiare capitali agli stati concorrenti. Il risultato è, ovviamente, l’arricchimento sempre maggiore dei pochi(ssimi) a danno dei più. A farne le spese — in moneta sonante — sono le classi medie e basse di tutto il pianeta, che pagano al fisco percentuali sempre maggiori del proprio reddito, nel momento stesso in cui vedono scemare costantemente il livello dei servizi statali (istruzione, sanità, infrastrutture, ambiente).
Casualità? Congiuntura? “Destino” cinico e baro? Il problema non è tanto quello di trovar noi una risposta, quanto sapere cosa rispondere in classe agli alunni più informati e intelligenti: quelli che si rendono perfettamente conto della contraddizione esistente tra quanto insegnato in educazione civica e la dura realtà.
Sui libri di storia gli studenti apprendono che una delle cause della grande rivoluzione francese fu l’iniquità fiscale. Clero e nobiltà (i super-ricchi che nel XVIII secolo detenevano anche il potere politico) non pagavano tasse. Tutto il peso del fisco gravava su chi lavorava e produceva. La lotta contro quella iniquità ha generato la nostra democrazia, basata — insegniamo a Scuola — su uguaglianza e libertà.
Come può esserci allora tanta ingiustizia? Com’è possibile che oggi siano proprio i più ricchi a pagar meno in percentuale sul reddito?
Il Bloomberg Billionaires Index rivela che — anche a causa di questa iniquità fiscale — la ricchezza dei primi 15 “paperoni” messi insieme cresce in continuazione: oltre i 2.200 miliardi di dollari. Ognuno di loro supera i 100 miliardi di dollari di patrimonio dichiarato. Potrebbero fare una guerra e vincerla.
Guerra che, in effetti, è uno dei maggiori affari di cui il grande capitale si nutre, (insieme al business dei combustibili fossili). Tutto ciò che “fa bene” all’umanità, insomma. All’umanità miliardaria, s’intende. Anche perché il capitalista sa che è meglio diversificare i settori d’investimento, senza tralasciarne nessuno (armi e petrolio compresi).
Intanto, però, guerre e crisi climatica impoveriscono tutti gli altri (umani e non).
Il Global Tax Evasion Report 2024 (del già citato Osservatorio fiscale dell’Unione europea) dimostra che i suddetti miliardari — detentori di quasi tutta la ricchezza del pianeta — si avvalgono (ribadiamo) di aliquote fiscali massime effettive corrispondenti allo 0,5% del loro patrimonio! Basterebbe tassare al 2% i 3.000 maggiori plurimiliardari per incassare subito 250 miliardi di dollari (tre volte il PIL dell’Oman).
Chi ci legge sa che una proposta analoga è stata fatta, per l’Italia, dal deputato Angelo Bonelli, portavoce di Alleanza Verdi e Sinistra: “un contributo di solidarietà e una tassa variabile dallo 0,5% all’1,5% sui grandi patrimoni a partire dai 5 milioni di euro”. Bonelli sottolinea che «69 super miliardari italiani detengono un totale di 233 miliardi di dollari di patrimonio combinato». Questa semplice misura permetterebbe «di recuperare una media ponderata di circa 60 miliardi di euro in 5 anni», utilizzabili per Scuola, sanità, infrastrutture, ambiente.
La proposta risale allo scorso maggio, ma — benché non rivoluzionaria, né tantomeno rovinosa per i miliardari nostrani — non sembra tuttavia aver suscitato l’interesse del Governo Meloni.
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