Per le donne senza il diploma buste paga più sgonfie
Una donna che non consegue almeno il diploma ha forti possibilità di andare incontro ad una vita professionale meno retribuita rispetto ai colleghi uomini. È quanto sostiene l’Isfol annunciando i risultati della ricerca ‘Rompere il cristallo’, terzo ed ultimo volume di una vasta indagine che ha raggiunto oltre 9.000 nuclei familiari. Secondo i ricercatori dell’‘Istituto per lo sviluppo della formazione professionale dei lavoratori’ “in Italia il gap retributivo di genere, calcolato in termini di salario medio orario, è pari al 7,1%. Tale valore supera ampiamente il 15% tra le lavoratrici con bassa scolarizzazione e il 13% tra quelle con alta scolarizzazione“.
L’indagine ha inoltre evidenziato che molto svantaggiate risultano proprio “ledonne che non hanno concluso gli studi, con un ‘gender pay gap’ pari al 22,9%”. Non basta il genere femminile per giustificare i pagamenti dei datori di lavoro non in linea con quanto concesso ai colleghi maschi. E non a caso tra le diplomate la differenza è meno sentita: per chi ha conseguito positivamente la maturità “il differenziale retributivo scende al di sotto del 10%”. Il gap risulta inoltre “più alto tra le giovani e le lavoratrici anziane, mentre è relativamente contenuto tra quelle in età compresa tra i 30 ed i 39 anni“. Sotto il profilo settoriale, l’Isfol ha riscontrato che “la più ampie disparità in termini di salario medio orario si registrano da una parte nelle professioni ‘intellettuali-scientifiche’ (25,3%) e dall’altra nelle professioni ‘non qualificate-agricoltori-operai’ (21,1%)”.
Secondo il presidente dell’Isfol, Sergio Trevisanato, “le donne – ha commentato – hanno un tetto di cristallo che è posizionato sopra le loro teste. Arrivate fino ad un certo punto della carriera questa lastra, invisibile ma persistente, gli impedisce di progredire ulteriormente nel mercato del lavoro. Ma c’è anche un terreno appiccicoso, che le intrappola dal basso: tali criticità sono direttamente collegate al problema della conciliazione tra vita professionale e vita privata“. Una piena condivisione del lavoro domestico tra uomini e donne, d’latro canto, è in Italia ancora un miraggio. In media, una donna con un figlio di non oltre i 6 anni dedica al bambino circa 5 ore e mezza al giorno, contro le 3 e mezza del padre, che invece lavora quasi 3 ore di più.
Amara la conclusione: secondo l’Isfol “la prospettiva di lavori discontinui e mal pagati costituisce un forte disincentivo al lavoro per molte donne, che preferiscono rifugiarsi nella valorizzazione del ruolo materno. I dati dell’indagine Isfol evidenziano come le aspettative di uomini e donne rispetto al lavoro non siano così differenti. Soddisfazione professionale e stabilità lavorativa rimangono, infatti, gli elementi cruciali per la propria realizzazione sul luogo di lavoro, tuttavia, da parte delle donne viene evidenziata la necessità di costruire nei luoghi di lavoro modelli organizzativi capaci di dare maggiore flessibilità agli orari di lavoro”. L’unica soluzione, per uscire da questa situazione, è puntare sulla “diffusione e l’universalizzazione dei servizi alla famiglia e alla persona sono, dunque, il primo e fondamentale passo verso un’effettiva cultura della parità, che permetta alle donne di poter decidere e progettare il proprio ruolo all’interno della famiglia e della società senza vincoli. La conciliazione va pensata come un problema sociale che investe la condivisione del lavoro e la ridefinizione dei ruoli all’interno della famiglia e come un nuovo modo di organizzare i tempi di vita e di lavoro dell’intera collettività”.