L’ultimo aggiornamento alla lunga lista di azioni violente nei confronti del personale scolastico è quello di lunedì 17 ottobre di quest’anno.
Il caso riguarda l’aggressione subita dal preside del liceo scientifico Majorana di Latina ad opera dei familiari di un’alunna che si rifiutava di rispettare le disposizioni di una circolare sull’uso dei telefonini a scuola.
Come sappiamo non si tratta di un caso isolato di intolleranza alle regole, manifestata dall’utenza scolastica. Non sarà neanche l’ultimo. L’analisi delle problematiche relazionali si amplia poi notevolmente se inseriamo gli innumerevoli casi di bullismo e cyberbullismo che si verificano quotidianamente a scuola e che, per paura, non vengono palesati e denunciati dalle vittime che, di fatto, subiscono in silenzio.
Credo sia giunto il momento non solo di chiedersi perché certi eventi di intolleranza sono in costante aumento ma soprattutto decidere cosa fare per porre un freno a questo andazzo. Storicamente l’ambiente scolastico è stato un ambiente di formazione, dove al centro del concetto di formazione si collocava l’aspetto dell’educare ad un corretto comportamento.
Il rispetto delle regole era importante.
Ricordo l’uso obbligatorio del grembiule alla scuola dell’infanzia e alle elementari; il rispetto formale nel rivolgersi all’insegnante o, a maggior ragione, al Preside! Gli si dava certamente del “Lei” e del “Signor” e non del “Tu”.
Oggi la credibilità ed il conseguente rispetto degli insegnanti è ai minimi storici.
Nessuno più dà peso alle loro “regole” scritte nel documento d’istituto ma troppo facilmente non rispettate e fatte rispettare, a causa dell’inerzia e dell’indifferenza degli stessi insegnanti, ed anche dei dirigenti. Certo è un po’ faticoso far rispettare le regole perché per primo le devo rispettare io, sennò chi mi crede! Quindi panta rei, vivi e lascia vivere.
Ma far rispettare le regole comportamentali non può essere un modus operandi disgiunto da quello di far rispettare le regole della valutazione. Se manca la certezza che il “non impegno” viene punito cade la regola educativa principale! È questa la catastrofe formativa! Non valutare secondo merito demolisce, dalle fondamenta, la struttura del complesso processo della formazione scolastica. L’ingiustizia meritocratica che premia chi non si impegna demolisce tutti i principi che reggono e giustificano un comportamento corretto.
Nulla viene sanzionato in modo efficace. I ragazzi capiscono bene qual è il vero fine operativo dell’insegnante quando sta in classe con loro, e si adattano di conseguenza. La loro mente è ampia e ricettiva ed imparano ogni cosa che noi trasmettiamo con il linguaggio esplicito e con quello implicito.
È proprio in questo modo che noi insegnanti contribuiamo alla formazione, anche della personalità e dell’etica, del cittadino di domani. Bella rogna, vero? Se la società è quella che è dipende anche dalla qualità del lavoro che facciamo in classe e da quello che siamo dal punto di vista umano.
Il disorientamento etico che possiamo osservare (non solo nelle generazioni giovanili) deriva dal prevalere di quelle forze che negano le regole di qualsiasi tipo (dalle norme del Diritto a quelle della buona educazione) per soddisfare i più biechi egoismi, ignorando le conseguenze di breve e di lungo termine che ne derivano. Si può sbagliare in buona fede, ed è previsto. Ma sbagliare in mala fede è reato.
Come uscire dunque da questo circolo vizioso che spinge sempre più in avanti il limite di tolleranza etica della società? Come ridurre il grado di assuefazione alle ingiustizie subite? Come stimolare la tendenza alla denuncia e alla lotta alle cose sbagliate che avvengono a Scuola e quindi, successivamente, nella società?
Ricordiamoci ancora che cittadini si diventa a Scuola! Eppure, esiste un modo. Non si tratta di seguire scelte utopiche o da Don Chisciotte. La favola di Esopo del “leone contro i tre buoi” ce lo insegna. Finché i tre buoi rimasero uniti riuscirono a respingere gli attacchi del leone affamato. Quando litigarono tra loro ed ognuno andò per la sua strada furono mangiati ad uno ad uno dal leone. Così gli insegnati operosi, con etica personale e professionalità, che sono tanti nella Scuola italiana, dovrebbero restare uniti per condividere, applicare e difendere le regole educative tradizionali e tra queste, per prima, la regola del merito scolastico.
Questo agire comune e il non piegarsi alle illegittime istanze dell’utenza, eticamente corrosa, costituirebbe una guida infallibile per tutte le nuove generazioni di insegnanti che, come pesci fuor d’acqua, si trovano spesso catapultati in una realtà lavorativa così importante ed eticamente impegnativa senza avere ancora le idee del tutto chiare.
Cerchiamoci, tra le pagine web e non solo, uniamo gli sforzi ed otterremo certamente degli ottimi risultati! Credere che questo modo di operare sia impossibile equivale a separarsi come i buoi della favola ed aspettare inerti, indolenti, indifferenti ma consapevoli il peggio. Ciò equivale a fermarsi a guardare, pervasi da un egoistico compiacimento, il crollo di una infrastruttura, pur sapendo che saremo anche noi coinvolti irrimediabilmente, lasciando poi ad altri il compito di ricostruire il tutto, interrompendo nel frattempo la fruizione di un bene così importante.
Giuseppe D’Angelo