Politica scolastica

Per ridare autorevolezza agli insegnanti non esistono scorciatoie

Ad intervalli ricorrenti il ministro Giuseppe Valditara esprime la sua opinione sullo scottante problema di come affrontare quello che, senza dubbio, è fra i maggiori problemi della scuola odierna: la mancanza di rispetto degli studenti verso gli insegnanti e verso i propri compagni. Le cronache scolastiche dell’anno appena concluso ci hanno riportato al clima pre-pandemico; nel 2018 una rivista online aveva addirittura proposto – e con un certo successo – un “contatore”, che enumerava gli atti più clamorosi di bullismo all’interno delle aule. Poi venne la pandemia e la scuola, come per incanto, si trasformò da girone infernale in Eden perduto: tanto può la cattiva ideologia, quella che ci fa pensare alle cose non come sono ma come, in quel momento, immaginiamo siano.

Adesso siamo tornati alla piena, seppur deprimente, normalità. E la questione è talmente centrale da non poter essere sottaciuta. Nel  novembre 2022 si erano appena placate le dispute sulla denominazione del nuovo ministero (dell’Istruzione e del Merito) che il ministro Giuseppe Valditara propose lavori socialmente utili per trovare rimedi contro studenti bulli e violenti e poi affermò di slancio: “Evviva l’umiliazione, che è un fattore fondamentale nella crescita e nella costruzione della personalità”. Ma a metà dicembre fu costretto ad una parziale rettifica: “L’umiliazione? Risentite il mio intervento, ho usato il riflessivo ‘umiliarsi’, proprio della cultura cristiana. Il ragazzo deve accettare la sanzione, deve riconoscere di avere sbagliato, mettere dei limiti al proprio io”.

Ad alcuni non è sembrata molto convincente, come autodifesa – anzi le critiche raddoppiarono e da quel momento, però, Valditara, forse timoroso di esporsi oltre il dovuto, non abbandonò il problema (bene) ma fu portato a riproporre idee piuttosto logore già ai tempi dei suoi predecessori (male). Giustamente, dicevo, non ha mai abbandonato il problema della mancanza di autorevolezza degli insegnanti. I rimedi proposti dal Ministro, però, pur sembrando  robusti, non sono tali. Più tutele a professori e Ata, assicurazione unica, aumenti stipendio, docenti tutor, Agenda Sud, dice il Ministro: “più tutele” è generico, la proposta dei “docenti tutor” è molto vaga e, come abbiamo detto altrove, potenziale elemento di conflittualità ulteriore all’interno del consiglio di classe.

Rispetto all’aumento degli stipendi vediamo com’è andata nelle ultime due tornate contrattuali, chiuse con una manciata di euro per il personale della scuola: e l’ultimo rinnovo del CCNL non si discosta dai precedenti, Quanto all’Agenda Sud, è  notizia recente che ci saranno altri soldi per riequilibrare le due parti del Paese: 95 milioni da assegnare a 500 scuole per “superare il divario territoriale tra Nord e Sud e garantire pari opportunità d’istruzione agli studenti in tutta Italia”. I fondi verranno impiegati nella realizzazione di reti locali, cablate o wireless, o per l’acquisto di schermi digitali o strumenti per la trasformazione digitale nella didattica o di attrezzature laboratoriali green.  Insomma, una conferma dell’illusione tecnocratico-pedagogica, in totale continuità con la “scuola 4.0” immaginata dal PNRR.  

   Troppo facile: probabilmente, non è così che si supererà il divario tra il Nord e il Sud. Analogamente, non si ridarà autorità con questo nuovo corso, né si arginerà la violenza nelle scuole con un giro di vite su voto di condotta e lavori socialmente utili usati a mo’ di punizione. 

  La crisi dell’istituzione scolastica è profonda e non tocca soltanto l’Italia; specificità italiana è quella di bistrattare i lavoratori della scuola e impegnare, nonostante il vortice di cifre con molti zeri, poche risorse per l’istruzione (lo conferma l’ultimo rapporto ISTAT, che ci vede sempre in coda, con un 4,1% del PIL per l’istruzione contro la media  dei Paesi UE27 del 4,8%). La crisi della scuola riflette come uno specchio quella della nostra società; se il rapporto tra le generazioni è così conflittuale è anche perché i più giovani non si riconoscono in un progetto sociale comune rispetto a quello degli adulti. I quali adulti, peraltro, hanno essi stessi perso la bussola, storditi da un mondo in cui il benessere materiale diminuisce, le diseguaglianze sono in crescita esponenziale ed il futuro si presenta non come luogo della realizzazione di progetti di vita ma come minaccia.

Se potessi, consiglierei al professor Valditara di leggere un libro che ormai ha qualche anno, ma che non ha perso di attualità. Si intitola L’epoca delle passioni tristi, è scritto da due psicoanalisti, Miguel Benasayag e Gérard Schmit ed aiuta a comprendere quanto profonda sia la ferita che rende malferma la scuola e difficoltoso il processo dell’educazione e quanto la perdita di autorevolezza degli adulti comporti un lavoro collettivo per essere ripristinata. Tecnica della scuola ha dato in questi giorni un contributo al dibattito sull’autorevolezza degli insegnanti con la bella intervista di Reginaldo Palermo alla professoressa Carmen Betti, studiosa di Lamberto Borghi, uno dei nostri pedagogisti “non ministeriali”, troppo spesso citati ed altrettanto spesso dimenticati. La conclusione è questa: la complessità non è buon motivo per mettere mano a soluzioni semplicistiche e di fronte a problemi complessi non esistono scorciatoie.

  Da chi è alla guida di un’istituzione così importante ci aspettiamo serietà, sobrietà e conoscenza della materia; invece, un ministro dopo l’altro, siamo qui, sempre di fronte alle stesse difficoltà materiali (dalle GPS ai concorsi al mancato rinnovo dei contratti all’edilizia scolastica fatiscente: ma da quanti anni va avanti così?) sempre di fronte alle stesse banalità proposte come rimedi a problemi davvero gravi, sempre di fronte ai miti delle nuove tecnologie e delle nuove metodologie didattiche.

Ogni tanto ritornano i vecchi fantasmi – i grembiulini, la disciplina ferrea, il voto di condotta! – e intanto un mondo esterno aggressivo e invasivo colonizza le menti dei nostri bambini e dei nostri ragazzi. La metà dei diplomandi non è in grado di comprendere un articolo di giornale, questo è il vero problema: per essere risolto, cosa tutt’altro che semplice ed immediata, richiederebbe lo sforzo di tutti, compreso quello del ministro di turno.

Giovanna Lo Presti

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