Il nuovo anno scolastico è alle porte e molte sono ancora le incertezze per un avvio che sia per tutti e in presenza. Le proposte di cambiamenti si succedono, le divergenze si moltiplicano, si comincia già a individuare i responsabili di un eventuale inizio fallimentare con la DAD e senza distanziamento né trasporti adeguati. Poche sono, invece le proposte di rinnovamento che incidano sulle cause delle disfunzioni e le carenze storiche della nostra scuola.
Si ripete da sempre, ad esempio, che al centro per tutti deve stare il bambino, ma poi, il bambino viene sempre presupposto e trascurato, per perdersi negli aspetti economici, organizzativi dove le divergenze e gli interessi contrapposti si moltiplicano.
Tutti denunciano la dilagante povertà educativa, ma poi, invece di trovare soluzioni conseguenti, ci si occupa di formazione, di organico, di qualificazione, senza porsi il problema se saranno anche i poveri a usufruirne o se continueranno ad essere impossibilitati ad accedervi.
Eppure le leggi e le normative indicherebbero soluzioni coerenti con le priorità valoriali, che giustificano la stessa esistenza della scuola. Ne è una riprova il Piano di attuazione del sistema educativo per i bambini da zero a sei anni.
Nel testo si riafferma che tra le finalità prioritarie del Piano è “anche favorire l’attuazione dell’articolo 9 del medesimo decreto legislativo, ove prevede la riduzione della soglia massima di partecipazione economica delle famiglie alle spese di funzionamento dei servizi educativi per l’infanzia pubblici e privati; (articolo 3 del Decreto 29093 del 07-07-2021).
Come dire che se è importante: “… stabilizzare e potenziare gradualmente le sezioni primavera, ampliare e sostenere la rete dei servizi per i bambini, riqualificare edifici scolastici, promuovere la costruzione di nuovi edifici, sostenere la qualificazione del personale educativo e docente”, è determinante facilitare anzitutto la fruizione da parte di coloro che ne hanno più bisogno.
Quando sono le tate ad accompagnare i bambini ai nidi, è evidente che alcune famiglie possono fruire della tata e del nido, mentre altre non dispongono né della tata né del nido.
- I Decreti chiedono, poi, che la riduzione delle rette riguardi tutti i bambini, sia che frequentino servizi pubblici che privati. Come dire che, finalmente, si smette di discriminare i bambini sulla base del servizio scelto dalla famiglia. Attualmente i bambini devono pagare rette diversificate a seconda che frequentino un servizio statale (gratuito), comunale (per fasce di reddito), o paritarie (con retta piena per poveri e meno poveri). Le fasce di reddito, poi, cambiano da Comune a Comune e le rette cambiano sulla base del servizio, spesso unico, che si trova nel proprio quartiere o nel proprio comune. Tutte queste discriminazioni si confermano a danno dei bambini e per uno stesso servizio che la Repubblica istituisce con le tasse di tutti.
- Queste discriminazioni non sono prese in considerazione, anzi vengono pervicacemente confermate ed accentuate dai Comuni che, invece di assommare i propri contributi con quelli dello Stato e delle Regioni: “per agevolazioni tariffarie e l’esenzione totale per le famiglie con un
particolare disagio economico o sociale (art 9 del D.Lgs 65 – 2017), operano una compensazione tra i diversi finanziamenti, confermando in tal modo le rette esistenti. - In conclusione, se si cominciasse ad abbattere significativamente le rette attuali molti più bambini potrebbero accedere ai servizi, mitigando l’attuale povertà educativa.
Se i bambini potessero accedere facilmente anche nei servizi paritari vi sarebbero più spazi per assicurare i distanziamenti, senza dover tornare a mascherine e restrizioni, che mortificano le attività didattiche e ricreative.
Giuseppe Richiedei