Qualcuno li definisce “millennials”, altri li identificano come la “generazione Z”, parliamo dei ragazzi e delle ragazze nati dopo il 2000, quelli che partecipano ai flashmob, che conoscono i più importanti youtuber e fashion blogger, che consumano online, quelli, cioè, nati in piena rivoluzione digitale, pur essendo stati costretti a vivere durante una grande crisi economica.
Nelle scorse settimane hanno manifestato, anche a Salerno, contro una politica che trascura il settore istruzione, la nostra Nazione è, non a caso, agli ultimissimi posti, in Europa, per gli investimenti in questo settore.
Non stiamo quindi a contraddire i nostri studenti, i dati sono sotto gli occhi di tutti, anzi vogliamo proprio mettere in risalto lo iato esistente fra quello che dovrebbe essere e quello che è nelle scuole italiane, soprattutto in quelle del nostro meridione.
Sono palesi le scarse dotazioni di tante scuole nella nostra regione, pur in presenza di robusti finanziamenti europei (la Campania è da anni Regione obiettivo per la realizzazione di programmi operativi FESR e FSE, POR e PON) la politica scolastica risente di enti locali spesso in affanno e di famiglie non sempre disponibili a mettere mano al portafoglio.
Il quadro è spesso sconfortante e i nostri ragazzi, troppe volte, quando entrano in classe lo fanno consapevoli di fare un tuffo nel passato, come in una macchina del tempo ritornano a situazioni per molti versi di altre epoche e di altri mondi, aule senza riscaldamento, banchi inadeguati, strutture malandate e a rischio, scarsità di quelle strumentazioni digitali che a casa, invece, spesso abbondano.
Marc Prensky, nel 2001, ha definito digital native i nostri ragazzi, per identificare quella generazione nata dopo il 1985 con il PC, o il telefonino o l’MP3 in mano, cui furono contrapposti gli immigrati digitali, coloro i quali alle nuove tecnologie sono arrivati dopo.
Oggi, più semplicemente, si parla di “residenti digitali”, ma quel che è certo è che, comunque li si definisca, i giovani di oggi, anzi gli studenti di oggi, hanno la tecnologia come linea guida implicita e, come qualcuno ha detto, nelle nostre scuole di oggi si ritrovano a dover ragionare in modalità sequenziale, preordinata, quando, grazie proprio alla digitalizzazione, ad internet, sono abituati a studiare per centri di interesse, per reti di conoscenze.
Entrano nelle nostre vecchie aule e in tanti casi si ritrovano, quando va bene, delle LIM che alcuni docenti non sanno neanche accendere o che vengono utilizzate come lavagne solo un po’ più evolute.
Oggi si dovrebbe parlare di “ambienti di apprendimento”, di attenzione ai processi didattici, di varietà delle possibilità metodologiche, di tecnologie capaci di aiutarci a produrre nuovi modelli di interazione didattica in un processo di insegnamento apprendimento di qualità.
Ed invece ai nostri ragazzi, quelli che le nuove raccomandazioni europee del maggio 2018 descrivono come futuri possessori di competenze evolute, declinate come combinazione di “conoscenze, abilità e atteggiamenti”, facciamo frequentare scuole a volte fatiscenti, impreparate, con regolamenti che magari demonizzano l’uso dei cellulari, in cui non c’è traccia di quell’ambiente di apprendimento necessario per declinare le competenze in una rete globale. E’ il caso di dire, ancora una volta che così non va.
E la scuola, che dovrebbe essere il luogo dove si impara ad imparare, in vista di un apprendimento che oramai dura tutta la vita, non può ritrovarsi ad essere il luogo della rappresentazione del passato.
Alessandro Turchi
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