Appelli, manifestazioni, solleciti anche ai politici per un intervento a favore dei docenti di sostegno, molti dei quali ancora “precari” e per la garanzia dei diritti degli alunni disabili.
E’ legittima la richiesta e la protesta, ma nell’ottica di una politica di intervento che non conti soltanto i numeri dei posti, ma tenda alla qualità e all’efficienza dei servizi , occorre indirizzare le trattative verso una più duratura soluzione del problema.
Si prende atto che nella scuola di oggi alcuni posti di sostegno “consolidati” e “di ruolo” sono affidati a docenti che svolgono anche in maniera egregia la “funzione obiettivo”, organizzano viaggi di istruzione, promuovono progetti, Pon e Por, fanno le sostituzioni dei docenti assenti, hanno maggior disponibilità e flessibilità di tempo per gli aspetti organizzativi della scuola e tutto ciò, talvolta, a scapito dell’alunno disabile, che bene o male non crea problemi in classe e non riceve le dovute attenzioni.
Sono inoltre numerosi i docenti che fruiscono dei benefici della L.104 che, però, non crea tanti disagi all’organizzazione didattica, dato che gli stessi non lasciano “classi scoperte” e si tiene ben poco conto della progettualità didattica dell’alunno disabile per il quale, in caso di assenza del titolare, difficilmente si nomina il docente supplente.
A questa radiografia della situazione didattica del sostegno si aggiunge la mancanza di continuità nel servizio del docente di sostegno, soggetto all’annuale girandola di posti, “nel rispetto della graduatoria”, ma scapito dell’efficacia didattica e formativa. Si registra, infatti, dopo diversi mesi di lavoro per conoscere le problematiche del disabile, quando si potrebbero cominciare a vedere i primi frutti di un diligente lavoro di “vero sostegno”, il docente, che nel frattempo ha maturato dei punteggi, per scorrimento di graduatoria viene assegnato ad altra sede, dove inizierà un altro anno di lavoro faticoso e scarsamente produttivo.
La richiesta di ottenere la continuità del docente di sostegno per almeno un biennio dovrebbe essere una vera battaglia del sindacato e meriterebbe maggiore attenzione rispetto alle proteste, ancorché legittime, limitate soltanto il numero dei posti di lavoro.
Quando un bambino disabile entra a scuola dovrebbe costruirsi per lui un progetto di vita, che dovrebbe coinvolgere la famiglia, la scuola e gli Enti locali , un progetto che accompagni e guidi il disabile almeno nella fasce della formazione scolastica. Purtroppo tutto ciò non viene fatto e senza i presupposti della continuità qualsiasi progetto non ha alcuna garanzia di successo e di efficacia.
Sarebbe ora di porre fine agli artifizi burocratici dell’organico di diritto e dell’organico di fatto, perché un alunno disabile una volta ammesso a scuola è a tutti gli effetti uno studente che ha diritto a svolgere il suo percorso formativo che lo accompagni per l’intero ciclo formativo.
Perché dunque certi posti non vengono ancora considerati “di diritto” e quindi non vengono assegnati a personale qualificato e fornito del titolo necessario di specializzazione? Perché ancora manca il personale specializzato e formato capace di gestire le problematiche dell’handicap, compito che dovrebbe essere svolto, fra l’altro da tutti i docenti educatori?
Sono interrogativi “storici” che vengono riproposti e mai intenzionalmente indirizzati verso la soluzione.
Occorrerebbe, inoltre dimostrare anche all’opinione pubblica la necessità e l’efficacia del lavoro prezioso ed utile del docente di sostegno, che nella logica di coloro che tengono la borsa e contano solo le teste difficilmente viene preso nella giusta considerazione.
A questa considerazione dovrebbe seguire un produttivo impegno nel rendere di qualità un servizio che merita attenzione e potenziamento e non soltanto nel numero.
La cultura dell’integrazione, nonostante le tante leggi che ne sanciscono i principi e ne regolamentano l’applicazione, non è ancora entrata a pieno regime nella scuola. Spesso il docente di sostegno resta solo ed isolato con i tanti problemi di inserimento e di integrazione dello studente disabile, mentre i docenti curricolari operano un’ampia delega che si traduce in disattenzione per il problema che, invece, appartiene a tutto il corpo docente.
Perché si possa parlare di vera cultura dell’integrazione occorre attivare una rinnovata politica della formazione e dell’aggiornamentoper tutti i docenti e non solo quelli di sostegno ed inoltre appare quanto mai indispensabile una verifica periodica dell’efficienza delle prestazioni didattiche, della qualità metodologica ed i risultati e la non sempre piena soddisfazione di genitori e studenti ne sono una prova tangibile.
I docenti che seguono attività di formazione ed aggiornamento, mentre da una parte si sentono professionalmente ricaricati e motivati nel mettere in atto nuove strategie metodologiche e di interventi didattici, dall’altra manifestano, a volte, sfiducia e sconforto, perché isolati in un’azione di intervento che dovrebbe essere comunitaria e collegiale.
Nella nuova politica scolastica, quello dell’integrazione non può restare il trentatreesimo capitolo, quando, anche le risorse necessarie per dare riscontro a tali principi, idealmente condivisi, saranno già esaurite.