Non osiamo immaginare i risultati di Ocse-Pisa 2021, se dovessimo riuscire, causa pandemia, a partecipare all’indagine internazionale che permette ogni tre anni una verifica delle competenze dei propri quindicenni degli 80 Paesi che si confrontano, non per una classifica o per una gara, ma semplicemente per prendere spunto dalle best practices e dai risultati conseguiti dai Paesi più performanti per migliorare la vita delle proprie scuole e per dare input ai decisori politici di poter intraprendere percorsi adeguati per migliorare il proprio sistema scolastico.
I timori e le perplessità nascono dal fatto che già in tempi di normale frequenza scolastica e, quindi, a parità di condizioni, le nostre studentesse e i nostri studenti arrancano nelle classifiche internazionali nelle competenze della comprensione e di matematica e scienze rispetto ai loro omologhi rivelando carenze di 30 o addirittura 60 punti rispetto ai Paesi quali Singapore o Hong Kong o la Cina e la gravità di queste distanze la si coglie se si calcola che 30 punti corrispondono ad un anno di apprendimenti.
Di conseguenza questi due anni scolastici, persi causa lockdown, mentre gli studenti di tutti gli altri Paesi sono riusciti a studiare nonostante l’emergenza sanitaria, saranno forieri di ulteriore perdita di competenze che comprometteranno per molti anni il futuro dei nostri adolescenti.
Ma la pedagogia e i pedagogisti “soffrono” di forte ottimismo e quindi spingono e sollecitano a pensare a cosa e come cambiare il “fare scuola” dopo l’esperienza emergenziale della didattica digitale integrata o a distanza o on demand in questo puzzle impazzito registrato nelle 20 regioni italiane nella gestione delle scuole.
Il post covid a scuola non dovrà solo far tesoro delle competenze tecnologiche che molti docenti hanno acquisito in situazione emergenziale, come tutti si auspicano, ma partire da questa nuova situazione per ripensare i processi di insegnamento-apprendimento e farsi carico di un ampliamento dell’offerta formativa che permetta di recuperare, presto, non solo le competenze perdute, ma anche di rinnovare definitivamente un fare scuola che sia plurale, cooperativo in funzione della grande responsabilità che è assegnata alla scuola e ai suoi docenti rispetto al successo formativo dei ragazzi e allo sviluppo armonico, sostenibile, culturale della nostra Italia.
E sarebbe auspicabile una riflessione seria e approfondita della funzione docente nella scuola dell’autonomia per una rilettura sostanziale del dettato costituzionale dell’art.33 “L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento”, in cui si mette in luce e in evidenza la capacità generativa e di “liberazione” della cultura, dei saperi, e del ruolo del docente in questo processo di “liberazione- apertura” delle menti.
Fissarsi mete così elevate ed adeguate ai nostri tempi e alle esigenze dei nostri studenti obbliga ad uscire dal proprio solipsismo didattico per entrare in una dimensione cooperativa che deve farci sentire componenti essenziali di una macro-squadra qual è il collegio docenti che individua finalità e mission della scuola e di micro-squadre, consigli di classe che definiscono curricoli, strategie quanto più prossime ai percorsi di apprendimento degli studenti.
Anche la declinazione della autonomia didattica nella nostra normativa ha voluto darci input per ripensare il ruolo della scuola e di conseguenza della funzione docente.
Nel D.P.R 275 del ’99, il regolamento dell’autonomia della istituzioni scolastiche ha esaltato l’importanza dell’autonomia didattica, che facendo tesoro dell’autonomia di ricerca, sviluppo e sperimentazione, deve salvaguardare la libertà di insegnamento, la libertà di scelta delle famiglie e il diritto all’apprendimento dei ragazzi.
Nella riscrittura e nel rilancio l’autonomia delle istituzioni scolastiche avvenuta con la Legge 107 del 2015, l’autonomia didattica viene subito associata, in prima battuta, al diritto all’apprendimento degli studenti per meglio connotare la funzione della scuola proiettata verso le competenze e le performances degli studenti per una crescita inclusiva.
Questi messaggi importanti avrebbero dovuto, già prima della pandemia, creare momenti di riflessione per trasformare i nostri percorsi professionali quasi sempre solitari, spesso eroici, deontologicamente elevati, ma con il risultato già sperimentato da “Sisifo” nella mitologia greca, e creare, invece, squadre capaci di individuare obiettivi e strategie per migliorare la vita delle nostre scuole e dei nostri docenti.
Nella migliore delle ipotesi, ci siamo limitati a collaborare tra operatori scolastici facendo tesoro della coesistenza negli organi collegiali, ma non siamo mai passati alla vera e più produttiva cooperazione che significa suddividersi percorsi, assumersi responsabilità e socializzazione dei risultati.
Nella scuola dell’autonomia la nostra “libertà di insegnamento” deve portarci non a chiuderci nella nostra disciplina e nella nostra aula, ma far tesoro della nostra creatività, della nostra passione, della nostra competenza professionale per rendere autonomi e liberi di pensiero e di futuro i nostri ragazzi.
Ci stiamo avviando verso un nuovo governo che avrà a capo una personalità competente, capace di indicare la rotta, e si avvarrà anche di una squadra molto ampia, forse la più ampia della nostra storia repubblicana, ma la vera ossatura della ripresa della nostra società è necessario che sia rappresentata dalla scuola e dai suoi docenti che si prendono in carico le vicissitudini delle nuove generazioni e le tolgono “dalle piazze-ring” della triste cronaca di questi giorni per elevarle a sperare nel loro futuro, che deve essere un futuro di progresso per tutti, connotato di senso e significati per i quali valga la pena studiare, impegnarsi, credere.