«CI SONO DOCENTI che si rifiutano di usare il genere in cui i loro studenti si identificano, o che ne saltano il nome all’appello, come se per loro non esistessero. Così finiscono per giustificare il bullismo dei compagni di classe», (il Manifesto, 31/3/2023).
La differenza è la vera, autentica, forza della nostra società composta da una pluralità di differenze: culturali, linguistiche, religiose. È il soffio vitale che fa di questo nostro vivere, e del mondo in sé, quella bellezza quale armonia delle e tra le cose, gli esseri, la natura, il creato tutto: basti guardare ad un quadro per comprendere il come l’insieme dei colori offrono la visione dell’armonia della e nella differenza.
Ma parlare di differenza significa innanzitutto aver superato, nell’ambito del linguaggio, la chiusa entro cui si è costruita tutta una dialettica, per cui è sostituita dalla parola diversità: ma non esiste diversità, in natura. Non c’è diversità nella diversità, ma soltanto, appunto, la differenza: una rosa non è diversa da un’altra, semplicemente è differente. Per quanto, poi, ci si riferisce alla persona umana, esiste il soggetto nella sua individualità e nella sua originaria e originale espressione di persona.
Mentre si tenta la costante politica del distrarre, centrando il problema Scuola attorno alla figura del Tutor quale soluzione alla questione della dispersione scolastica, e non soltanto, come se il resto dei docenti siano incapaci all’attenzione e all’ascolto, o forse quale non soluzione, necessaria però a mascherare la verità di una realtà, quale la Scuola, la cui consapevolezza del suo decadimento di ruolo e di Istituzione, deve restare una dichiarazione di intenti, la società in cammino pone nuove forme, nuovi contesti, nuovi interventi che chiedono l’allineamento alle odierne esigenze del vivere della polis.
Mi chiedo se siamo realmente pronti a rispondere, almeno nel dibattito dialettico, alle trasformazioni o mutazioni, restando saldi sulla tradizione e sui valori etici che hanno da sempre indicato il cammino della società degli uomini. Cioè superare la questione della differenza sempre posta come un argomento da studiare, analizzare e organizzare, senza mai intravederne l’originarietà: a questi discorsi e a queste conoscenze manca di rendere conto del fatto che la differenza affetta il soggetto stesso dei discorsi e delle conoscenze.
Non possiamo più trattare la differenza come se ci fosse estranea, arrendendosi alla «tentazione del neutro», che scatta soprattutto quando ci sono di mezzo la dimostrazione del vero e la decisione sul giusto. Credo che siamo arrivati al punto che dovremmo consentire un senso libero della differenza, poiché, comunque, essa è un fatto simbolico che lascia tracce nelle relazioni, nelle azioni e nel linguaggio che le narra, emergendo come evento nel quale qualcuno/a pensa, parla e agisce a partire da sé.
È nel DNA dell’Istituto Scolastico fare propria questa visione, poiché l’educare, il formare, l’essere il luogo della cultura, significa, credo, apertura all’essere e dell’essere, unico luogo reale di democrazia intesa quale libertà delle individualità nel loro esprimersi, non mai prigioniere delle catene del perbenismo etico e morale.
Entro in classe, adesso, e nel fare l’appello chiamerò per nome ogni studente, guardandolo come dentro ad un abbraccio, quale riconoscenza per il meraviglioso dono che essi sono, e che questa professione ci permette di ricevere.
Buona Settimana Santa.
Mario Santoro
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