I lettori ci scrivono

Per una Scuola offesa nelle sue libertà identitarie

Riconoscere la differenza irriducibile dell’altro apre un abisso nella coscienza, nella conoscenza, nella verità: la Storia non è forse un diverso nome dell’intolleranza dell’uomo nei confronti dell’altro, mascherando con una menzogna che vi violenta, invece di considerare la verità delle nostre molteplicità, e per cui la parola rimane una forma di potere irreale e menzognero, una maniera di sedurre che dimentica la realtà e il rispetto dell’altro, anche e soprattutto nella sua differenza, e per cui nessun vero dire sarebbe così possibile.

Come parlare, come parlarci a partire dalla realtà che siamo, a partire dall’inclinazione e dall’amore tra noi: esseri differenti (non diversi), uomini e donne, donne e uomini (forse un po’, in apparenza, confusi, in essere).

Il presupposto elementare della parola può e deve fondarsi sul riconoscimento e la sublimazione della nostra realtà sessuale e sessuata poi. Dunque, il dispositivo per pensare e trasmettere la verità deve essere rifondato a partire dalla differenza sessuale, o in generale, identitaria. E ciò è possibile in una re-inventazione, in un ripensare: comunicare fra noi, nelle e con le nostre rispettate differenze, nella quotidianità, ma anche a un livello di pensiero, culturale che sia possibile insegnare, trasmettere, senza ricorrere al definito, al netto, in modo artificioso e violento: abbiamo da sempre fatto una confusione e abbiamo chiamato verità ciò che era e resta soltanto una struttura per sostenerla.

Leggo con rammarico quanto siamo ancora lontani da quel progresso etico morale sociale, in cui le differenze non sono viste come nemici da abbattere, come ombre da fare scomparire con la luce del perbenismo: docenti insultati per la loro differente identità di genere, o studenti offesi nella loro libertà identitaria.

Credo che urga l’esigenza di un nuovo linguaggio. La restituzione al linguaggio del linguaggio. Per una parola libera in grado di assorbire e abbracciare la relazione con l’altro, gli altri, in quel desiderio di incontro tra due o più soggettività, che nelle loro

differenze vanno a costituire l’armonia dei contrari di cui la natura si costituisce e si fonda.

Rispettare l’altro, incontrarlo nel presente, nella presenza, può avvenire solo grazie a una cultura ove il rispettare l’altro è nella misura in cui non posso ucciderlo, stuprarlo, bullizzarlo, ma in quanto corpo e linguaggio in divenire presenti a me, lontano da parole scritte, da un contesto morale (bigotto e impaurito), dove le leggi e le consuetudini sono ancora appropriate al soggetto maschile o femminile, più che al soggetto differente.

Se la nostra cultura, magari, la Scuola, accogliesse in sé il mistero dell’altro come realtà si aprirebbe una nuova epoca del pensiero nella quale l’economia della verità e dell’etica verrebbero mutate.

Oltre alla trasformazione del nostro rapporto con la verità, il riconoscimento della differenza, ci permetterebbe di entrare in un pensiero della soggettività in quanto libertà.

Così non leggeremmo più di docenti insultati, o di studenti o di studentesse prese in giro, per la loro identità, libera.

Il linguaggio, la costituzione del soggetto, i valori della cultura dovrebbero rientrare in quella misura e quella forma di ragione e di pensiero in grado di coltivare la verità, gli affetti, le differenze, come quegli uomini e quelle donne che siamo, di corpo, di cuore, di parole, di identità

Mario Santoro

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