“ll merito non sarà classista né reazionario, la scuola sia ascensore sociale, liberiamo il talento dei nostri giovani”: scriverlo su twitter è stato il ministro dell’Istruzione, Giuseppe Valditara, nel giorno in cui la premier Giorgia Meloni ha parlato alla Camera in vista della fiducia (“il capitale materiale non è nulla senza capitale umano, per questo la scuola e l’università torneranno centrali nell’azione di governo, perché rappresentano una risorsa strategica fondamentale per l’Italia”) e poi anche replicato sostenendo nel pomeriggio che “merito e uguaglianza non sono nemici, sono uno fratello dell’altra”.
Rimane da capire cosa intende fare questo Governo con la stragrande maggioranza degli alunni, che non fanno annoverare valutazioni ottimali e spesso devono anche fare i conti con problemi di apprendimento di livello vario. Gli stessi alunni che, purtroppo, giunti alle superiori non riescono a tenere i ritmi e lasciano. La quota è ancora alta. A confermarlo è stato l’Istat, che nella stessa giornata ha reso nota – con il report ‘Livelli di istruzione e ritorni occupazionali’ – la quota di giovani che abbandonano gli studi in Italia: ebbene, nel 2021 la quota di 18-24enni con al più un titolo secondario inferiore e non più inseriti in un percorso di istruzione o formazione è stimata al 12,7%. Si tratta di 517mila giovani: un’enormità.
Anche se le percentuali sono in calo, la quota di ELET (l’indicatore sulla quota di 18-24enni che, in possesso al massimo di un titolo secondario inferiore, sono fuori dal sistema di istruzione e formazione) resta tra le più alte dell’Unione europea (9,7%), inferiore solo a Spagna (13,3%) e Romania (15,3%); scende addirittura al 7,8% in Francia e all’11,8% in Germania. Nel Belpaese abbandonano la scuola più i ragazzi (14,8%) delle ragazze (10,5%).
Ma a preoccupare più di tutto sono i divari territoriali: sempre lo scorso anno l’abbandono degli studi prima del completamento del sistema secondario superiore o della formazione professionale riguarda il 16,6% dei 18-24enni nel Mezzogiorno (con punte anche sopra il 30% in alcune province siciliane), il 10,7% al Nord e il 9,8% nel Centro.
C’è poi un dato che dovrebbe fare riflettere. Quello che tra i giovani con cittadinanza non italiana, il tasso di abbandono precoce degli studi risulta più di tre volte quello degli italiani: il 32,5% contro 10,9%.
Sempre l’Istituto nazionale di statistica ha tenuto a rimarcare che per chi abbandona gli studi è più difficile trovare occupazione: l’anno scorso il tasso di occupazione dei giovani che hanno abbandonano gli studi è stato pari al 33,5%. Quindi, solo un giovane su tre che ha lasciato scuola ha trovato lavoro, gli altri due sono andati ad “ingrossare” il record tutto italiano dei Neet.
E proprio tra i nostri Not in Education, Employment or Training, giovani tra i 15 e i 29 anni che non lavorano e non frequentano alcun corso di istruzione o formazione, e risultano pure disoccupati, uno su due è alla ricerca di lavoro da almeno un anno: per l’esattezza, dice ancora l’Istat, è il 51,6%, una quota più alta di quella del 2020, quando era il 44,9%.
Secondo sempre l’Istat, aumenta dunque tra i Neet la quota degli inattivi che non cercano un impiego e non sarebbero disponibili a lavorare (35,9%, +2,7 punti), più frequentemente di genere femminile, con responsabilità familiari di cura e assistenza a bambini o adulti non autosufficienti.
La percentuale maggiore di inattivi si rileva tra i giovani Neet con al più un titolo secondario inferiore (45,1%), soprattutto se donne (56,8%). L’inattività è minima tra i Neet del Mezzogiorno, tra i quali ben il 71,0% (53,3% nel Nord e 64,1% nel Centro) si dichiara interessato al lavoro (disoccupati o forze di lavoro potenziali), a indicare come in quest’area del Paese le minori opportunità lavorative pesino di più sulla condizione di Neet.
Ma anche sulla maggiore inattività dei NEET stranieri rispetto agli italiani incide la componente femminile.
Inoltre, nel 2021, in Italia il tasso di occupazione dei giovani in transizione dalla scuola al lavoro è stimato al 49,9% tra i diplomati e al 67,5% tra i laureati, valori inferiori a quelli medi Ue di 23,2 punti e di 17,4 punti rispettivamente.
L’Istat, infine, ha comunicato che rimane ampio anche il divario con l’Europa nella formazione continua dei disoccupati, mentre aumenta la partecipazione degli adulti a corsi e attività di formazione.
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