Bruschi parla di due motivi ben precisi che dovrebbero convincere al loro abbattimento: “Primo, perché si tratta di un sistema eminentemente a-meritocratico (non ho detto “anti”, ho detto “a”), che non a caso l’ordinamento generale della pubblica amministrazione riserva a inquadramenti che necessitano di un basso grado di specializzazione. Per loro natura, le graduatorie per titoli sono composte da platee variegate di soggetti e sottoposte a continue sollecitazioni di ulteriori ingressi, in via politica o giurisdizionale: l’accesso costituisce una sorta di “lavacro” che livella situazioni in origine diverse e crea un titolo giuridico unico. I soggetti che nutrono maggior interesse oggettivo al loro mantenimento sono, in via generale, coloro i quali ritengono di avere una preparazione più fragile o addirittura inidonea ad affrontare una procedura concorsuale; ovvero hanno accumulato, negli anni, un patrimonio di titoli tale da collocarli saldamente ai primi posti.”
Esiste anche una seconda motivazione: “Il secondo motivo è direttamente correlato alla vasta platea di soggetti che trae un diretto beneficio dal sistema, sotto forma di un guadagno, diretto o indiretto, in termini economici; ovvero di prestigio e sostegno stante il ruolo di rappresentanza degli interessi, vuoi degli aspiranti inseriti, vuoi di chi aspira all’inserimento”.
Il problema sono dunque da anni gli intermediari di un sistema malato: “Un rapido elenco di categorie parte dagli intermediari che, a pronti contanti, offrono scappatoie “internazionali” alla strettoia di procedure di abilitazione selettive. Si va, a quanto ho potuto verificare, dai 4.900 euro sino al costo di “9.050 euro, comprensivo di onorari, tasse universitarie del master, tasse di riconoscimento del titolo in XXX e traduzioni ufficiali”. Non ho, stranamente, notizie di simili intermediazioni per paesi ove le procedure di abilitazione sono improntate al massimo rigore.
Seconda categoria, costituita dalla platea di realtà splendidamente individuate dal professor Paolo Latella ed etichettate come “diplomifici”, fondate su un pactum sceleris tra docenti prevalentemente non qualificati in cerca di “titoli di servizio” da accumulare, disposti tanto a largheggiare in obiettivi di apprendimento quanto ad accettare lo scambio tra prestazioni non retribuite o retribuite simbolicamente col punteggio di servizio, studenti incapaci di conseguire un titolo di studio in percorsi normali (e relative famiglie), gestori senza scrupoli. Ci metto anche commissioni di esami di Stato perlomeno compiacenti, se non conniventi. Il tutto all’insegna della più rigorosa omertà.
La terza categoria è composta da una miriade di istituzioni autorizzate al rilascio di corsi e certificazioni che costituiscono “titolo valutabile”. Ovviamente, nel momento in cui la valutazione è meramente “numerica” e non qualitativa, le leggi del mercato determinano semplici relazioni tra impegno, costo, punteggio, determinanti per le scelte, mentre non risulta determinante l’aspetto “qualità”, se non per quei docenti che antepongono l’effettiva maturazione della loro professionalità alla mera scalata delle graduatorie: non posso non pensare ai “Montessoriani” della Bicocca. L’intreccio è perverso: perché chi “non ci sta” accetta, virtuosamente, di vedersi scavalcato. Risulta peraltro anomala la fatica che si compie a modificare le tabelle titoli per introdurre una maggiore valorizzazione dei titoli “seri”, o addirittura per introdurli.”
Infine Bruschi cita una quarta categoria di intermediari, quella di cui tanti docenti hanno avuto frequente bisogno in questi anni: “La quarta categoria, è rappresentata da chi offre “tutela giurisdizionale” su tutte le sullodate situazioni. Lo fa legittimamente, per carità. Ma altrettanto legittimo è una razionalizzazione del sistema di per sé (molto tra virgolette) “criminogeno”, perché strutturato in maniera tale da alimentare inevitabilmente il contenzioso.
Dopo questa articolata disamina Bruschi conclude: “Abbattere il doppio canale è un primo, significativo passo avanti nella bonifica del sistema. Certamente i titoli “valgono” anche per i concorsi, ma un’opera di potatura può essere abbastanza agevole, e già è stata compiuta, almeno in parte, nella tabella 2012, dove se non altro c’è stato un maggior equilibrio. E dove comunque, prima della valutazione dei titoli, era indispensabile il superamento delle prove. Sarei curioso, peraltro, di vedere di quali sontuosi punteggi sarebbero stati forniti i respinti.
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