Didattica

Perché il voto alla scuola primaria era inadeguato: il Decreto Scuola sana una situazione imbarazzante

Il cosiddetto decreto scuola è approdato sulla Gazzetta Ufficiale. Si tratta della Legge 6 giugno 2020, n. 41 di conversione del Decreto-legge 8 aprile 2020, n. 22 recante “Misure urgenti sulla regolare conclusione e l’ordinato avvio dell’anno scolastico e sullo svolgimento degli esami di Stato”.

Tra le misure previste, una è passata un po’ in sordina ma è un vero colpo di spugna su un imbarazzante neo che affliggeva il sistema di valutazione nazionale da troppo tempo: il voto numerico nella scuola primaria è stato abolito. Finalmente.

Secondo quanto recita il co.2 bis dell’art.1 della legge, infatti: “In deroga all’articolo 2, comma 1, del  decreto  legislativo 13 aprile 2017, n. 62, dall’anno scolastico 2020/2021, la valutazione finale degli apprendimenti degli alunni  delle  classi  della  scuola primaria, per ciascuna delle  discipline  di  studio  previste  dalle indicazioni nazionali per il curricolo,  è  espressa  attraverso  un giudizio  descrittivo”. Una successiva ordinanza del Ministero ne definirà termini e modalità.

Abolito quindi il voto in decimi, da settembre nella scuola primaria verrà utilizzato al suo posto il giudizio sintetico. E non è la prima volta che questo accade nell’Italia degli eterni ripensamenti, incluso un breve e incompreso passaggio per una scala di valutazione a cinque lettere (A,B,C,D,E) nel 1993.

Perché il voto nella scuola primaria è inadeguato

Il voto numerico è l’espressione della ”misura”; il giudizio della volontà di “orientare”, di “guidare”. Nella scuola del primo ciclo, in particolare nella primaria, ci si aspetterebbe una propensione per la seconda.

La valutazione come “misura” affonda invece le sue radici in un concetto di scuola quale luogo della selezione degli individui, nell’idea elitaria di un sistema di istruzione a base ristretta, selettiva, piuttosto che inclusiva.

La valutazione misurativa si concentra pertanto sul “prodotto” (ciò che l’alunno è in grado di produrre, con scarsa o nessuna attenzione per il processo che egli compie nell’apprendimento) e dà priorità all’oggettività  del giudizio prediligendo infatti prove quanto più possibile oggettive, come, ad esempio,  quelle Invalsi.

Questo concetto di valutazione -benché sia stato messo duramente in discussione negli anni Settanta, al punto da determinare l’abolizione del tradizionale voto e la sua sostituzione con un giudizio sintetico –  ha sempre costituito un riferimento nella nostra realtà scolastica. Nel 2008, non a caso, con la legge 169 della Gelmini, il voto numerico, attualmente utilizzato, fu reintrodotto sia nella scuola primaria che nella secondaria di primo grado, con grande disappunto dei docenti, in particolare quelli dedicati agli studenti più giovani, preoccupati delle  implicazioni psicologiche del rigore docimologico sui bambini.

La valutazione formativa

Esiste però un altro concetto di valutazione, che la interpreta come “formazione”, per la quale valutare un alunno non significa “misurarlo” ma appunto “orientarlo”, “guidarlo” ad esplorare se stesso e le proprie capacità, in modo da aiutarlo a conquistare la propria identità e la propria autonomia. Questo concetto risponde all’idea di un sistema di istruzione a base larga, finalizzato a raggiungere il numero più esteso possibile di soggetti e pertanto concentrato sulla sua funzione proattiva, volta a promuovere il miglioramento degli studenti, non a selezionarli.

La valutazione formativa si concentra sul “processo”, piuttosto che sul “prodotto” poiché parte dall’assunto che non è importante misurare ciò che l’alunno sa ma valutare il processo attraverso il quale raggiunge i suoi traguardi o almeno si avvicina ad essi. Questa è la valutazione cui del resto fa riferimento la certificazione delle competenze che dal 2015 è stata introdotta nella nostra scuola e alla cui maturazione essa finalizza il suo curricolo.

Bisogna però tener presente che il concetto di valutazione non è univoco né statico. Varia in base al momento storico ma anche da da comunità a comunità o, addirittura, da persona a persona, nella stessa epoca. A volte, i diversi concetti convivono.

C’è da chiedersi allora qual è il peso di questo significativo cambio di rotta? Corrisponderà allo scopo assegnato oggi all’educazione?

Del resto, la valutazione è un segmento fondamentale nel lavoro dei docenti, un’operazione delicata e complessa che richiede grande attenzione.

Intanto, è il necessario primo passo per ridare armonia ai presupposti della certificazione delle competenze, per la quale, in base all’attuale Regolamento (il DPR n. 122/09), gli insegnanti sono chiamati a valutare oltre che gli apprendimenti e il comportamento,  il grado di avvicinamento dell’alunno ai traguardi per lo sviluppo delle competenze previsti per le singole discipline dalle Indicazioni Nazionali.

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Amelia de Angelis

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