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Perché in Germania gli stage funzionano

È nel Sole 24 Ore che leggiamo quanto dichiarato dalla ministra tedesca: “È alla base del nostro successo attuale. La metà dei ragazzi tedeschi frequenta un corso di formazione professionale. Abbiamo trecentoquaranta vocazioni diverse, dall’infermiere al bancario, dal meccanico all’elettronico. È una combinazione di teoria e pratica: tre giorni alla settimana di training in azienda e due giorni in aula. E il certificato professionale, al completamento dei 2 o 3 anni di formazione non esclude la possibilità di frequentare l’università in seguito. Alcuni amministratori delegati di successo hanno cominciato così”.
Alle parole della ministra va aggiunto, spiega il quotidiano, che i buoni risultati di questa formula sono una delle ragioni, non l’unica, che porta la Germania ad avere una quota record di senza lavoro tra le giovani generazioni, soltanto il 7,5 per cento circa.
Ma Ursula von der Leyen ha ricordato tra l’altro che questo virtuoso mix tra scuola e lavoro esiste anche in Austria e Svizzera, non solo in Germania. Ma andrebbe citato forse il caso dell’Olanda, altra nazione all’avanguardia nell’occupazione giovanile, dove quasi due terzi dei liceali escono dalla scuola almeno una volta per un’esperienza lavorativa e la metà dei giovani frequenta un istituto professionale. Tutto si basa su «una partnership tra pubblico e privato», perché, dice ancora la teorica delle «quote femminili» ai vertici delle aziende, «le imprese devono offrire i posti e pagare la retribuzione dei giovani, e poi serve un ente che gestisca i certificati, in Germania lo fa la Camera di Commercio».
Il sistema duale rappresenta inoltre un riuscito intreccio tra teoria e pratica , che vede sviluppare al massimo la collaborazione tra la scuola professionale e le aziende.
Una volta superato l’esame, il giovane ha di fronte a se la possibilità di entrare immediatamente nel mercato del lavoro oppure di proseguire gli studi. In terza ipotesi, può scegliere di ottenere un diploma di maggiore specializzazione frequentando un nuovo corso dopo l’esperienza lavorativa . Generalmente, secondo i dati del governo tedesco, una quota oscillante tra il 50 e il 60 per cento degli apprendisti viene assunta dall’azienda dove ha svolto la formazione professionale.
Il modello della scuola «a tempo pieno», rilevano gli esperti tedeschi, è completamente superato perché non tiene conto del mercato.
Quello che si può fare intanto, si legge sul Sole, è incentivare e facilitare l’afflusso di giovani stranieri nel mercato del lavoro in Germania, anche con accordi bilaterali tra i governi.
Il ministro degli esteri Guido Westerwelle ha sottolineato recentemente che il sistema duale è una garanzia per disporre di specialisti ben preparati e riempire i vuoti esistenti anche nel suo Paese, combattendo così concretamente la disoccupazione giovanile. Esistono settori, come quelli della tecnologia elettronica o informatica e quelli della ristorazione e della sanità, in cui le porte della Germania sono aperte e le opportunità elevate. Ma bisognerebbe emigrare da quelle parti.
Tuttavia, diciamo noi, quali prospettive si aprirebbero per gli studenti del sud, dove manca l’elemento principale e cioè le aziende dove applicare il sistema duale tedesco? E non solo. Una Nazione come l’Italia, dove sono molti i settori cosiddetti produttivi che lavorano in nero, come farebbe a fare fronte alle richieste, qualora si implementasse questa logica, comunque positiva?
Certi meccanismi, crediamo, hanno bisogno di essere oleati dalla “fedeltà” istituzionale e dal rigore morale e professionale, perché nulla toglie, come succede negli stage, che alla fine si abbia manodopera specializzata a costo zero e che alla prima occasione, dopo i servigi effettuati, si sbatte fuori.

Pasquale Almirante

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