Attualità

Perché le tastiere si chiamano Qwerty? Nuova puntata “Sulle spalle dei giganti”

Ogni giovedì un appuntamento con la rubrica “Sulle spalle dei giganti”, i grandi della scienza raccontati sotto un punto di vista storico. 

Affascinato dal progresso, da ragazzo ho sempre pensato che tutto ciò che utilizziamo sia il risultato di un avanzamento tecnologico lineare e dunque sia il miglior ritrovato della tecnica. Studiando la storia della scienza, ci rendiamo invece conto che le cose non stanno affatto così.

Prendiamo ad esempio un oggetto che usiamo in continuazione e che ha un impatto profondo sul nostro lavoro e sulla nostra quotidianità: la tastiera del computer. Ogni anno vengono commercializzati computer sempre più efficienti, grazie a costanti progressi tecnologici. Eppure la tastiera rimane pressoché identica e non soltanto sui computer, ma anche su molti altri strumenti che ne hanno bisogno, come i tablet o cellulari

Anche in questo caso sarebbe lecito supporre che le tastiere Qwerty (dalle prime  sei lettere a sinistra) siano il miglior strumento che abbiamo oggi a disposizione per scrivere. E invece no: al contrario esistono oggi sistemi molto più validi.

Questo perché la tastiera ha una storia molto più lunga alla spalle: per individuarne la nascita dobbiamo infatti risalire fino al 1870 quando vennero commercializzate le prime macchine da scrivere, realizzate da un gruppo di inventori capeggiati da Christopher Sholes. Mentre i primi prototipi erano stati pensati con una tastiera in linea, simile a un pianoforte, la Remington No.1, che ottenne un notevole successo commerciale, presentava una tastiera simile all’attuale Qwerty.

Perché? Gli storici sono al lavoro per ricostruire questo passaggio e le ipotesi in gioco sono diverse: è possibile che Sholes si sia fatto aiutare dai telegrafisti che all’epoca dovevano rapidamente trascrivere i messaggi trasmessi in codice Morse; è probabile che a ciò si siano aggiunte delle necessità tecniche, come quella di distanziare alcuni tasti per evitare che sequenze troppo rapide inceppassero la macchina. In ogni caso si tratta di ragioni che oggi non hanno (o non avrebbero) più senso.

Infatti alcuni centri di ricerca hanno sviluppato sistemi di scrittura molto più rapidi: tuttavia è facile capire come la fase di transizione risulterebbe complessa se non addirittura disastrosa (immaginate ospedali, scuole, tribunali, uffici e aziende che si bloccano perché nessun riesce più a scrivere…). Per questo continuiamo a usare un sistema obsoleto, ma conosciuto e diffuso.

La storia della tastiera Qwerty ci ricorda il valore di una prospettiva storica per comprendere la falle del presente. Allo stesso tempo però illustra come il cambiamento sia difficile, traumatico, a volte quasi impossibile. E questa riflessione non riguarda solo gli oggetti, ma anche i concetti: che dovrebbero essere modificati o abbandonati, mentre per diverse ragioni ciò non viene fatto. La storia, anche quella della tecnologia, ci aiuta a individuare fragilità o sedimenti altrimenti invisibili, e a capire dove possiamo agire. Si tratta di una dimensione che non possiamo ignorare.

Dario De Santis

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