Pierpaolo Perretti pubblica, per Rubbettino, “Perché (non) andare a scuola”, 16,00 euro, con introduzione di Annalisa Cruzzocrea e Sergio Labate; una lunga riflessione, ben scritta e documentata, sulla importanza dell’istruzione, sulla sua centralità per la formazione del cittadino, ma pure sulle disfuzioni che la colpiscono, compresa una disamina sulle possibilità di un suo riscatto se finalmente molte di queste proposte smettano di essere giudicate una sorta di luogo comune, una ripetizione a vuoto, ma analizzate invece per riformare laddove bisogna.
In ogni caso, come sottolinea Cuzzocrea nella sua introduzione, si avverte in tutti gli ambiti il ruolo fondamentale dell’istruzione come strumento imprescindibile nello sviluppo della società e della sua futura crescita. Ma soprattutto, è ampiamente percepita, seppure senza suscitare le opportune prese di posizione, la necessità di ripartire dalle basi, cosi come suggerisce l’autore che dopo un lavoro di decostruzione, tenta una nuova ricostruzione del sistema scolastico.
Una istituzione complessa la scuola, certamente, e della quale vengono svelati i punti deboli, le carenze, gli antichi ingranaggi che stentatamente la lasciano ancora navigare, con tutte le sue evidenti contraddizioni.
Si parla allora di orientamento che finora è servito a reclutare “utenze” piuttosto che indirizzare con coerenza gli alunni; del collegio dei docenti che sembra più un luogo per perdere tempo, piuttosto che di confronto e di progettazione. E poi Perretti, docente per scelta e non per necessità, analizza pure strumenti come i voti, l’esame di stato, i debiti formativi che, se per un verso sono la matrice fondante della scuola, dall’altro risultano spesso elementi che inquinano la reale finalità dell’ insegnamento. Come si può infatti ridurre il giudizio su un alunno con un numero per rendere la complessità di quell’individuo? Non si dovrebbe invece esprimere un giudizio e una valutazione in piena scienza e coscienza? E cos’è in effetti il cosiddetto buonismo? Spesso è pure controproducente, mentre non riconoscere il merito che è sempre a decremento delle classi più deboli socialmente ed economicamente.
In altre parole, nel nostro sistema scolastico le difficoltà vengono nascoste per evitare di affrontarle, cosicché la scuola risulta una sorta di ostacolo da superare in qualche modo, una meta da valicare per andare oltre, mentre le famiglie pensano a rimuovere gli intralci puntando il dito contro l’insegnante ostile, la materia difficile, i compagni aggressivi.
Ma allora dove risiede l’utilità di un sistema siffatto? Oppure, è utile invece una istruzione che deve essere ritenuta indispensabile? “La scuola è il più formidabile strumento di emancipazione di sé. E serve quindi a chi, più di ogni altro, di quella emancipazione ha bisogno”, viene detto nel libro, mentre oggi molte scuole tradiscono la loro missione, passando sbadatamente sopra chi crede nella sua missione di formazione.
Per questo occorre implementare nuovi percorsi di senso e di “studiosa meraviglia” per gli studenti e per i professori, “per quanti sono alla ricerca del significato dello studio e per quanti, ancora innamorati dell’essenza dell’insegnamento, non possono adattarsi alla realtà attuale”.
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