Molti accademici hanno manifestato il proprio punto di vista firmando l’appello per la scuola pubblica dimostrando di non aver capitalizzato un insegnamento di Confucio: “Dai un pesce a un uomo e lo nutrirai per un giorno; insegnagli a pescare e lo nutrirai per tutta la vita”.
Nell’appello
Università e scuola hanno finalità differenti. La trasmissione dello stato dell’arte delle discipline è la finalità della prima: la lezione frontale è l’ordinaria modalità dell’insegnamento accademico.
La finalizzazione dei percorsi formativi pluriennali scolastici, da esprimere in termini d’oggetti, non è possibile per la dinamicità e l’imprevedibilità dell’ambito socio-culturale in cui la scuola opera. Ne discende che: “Nella loro differenziata specificità le discipline sono strumento e occasione per uno sviluppo unitario, ma articolato e ricco, di funzioni, conoscenze, capacità e orientamenti indispensabili alla maturazione di persone responsabili e in grado di compiere scelte”. Traguardi che non possono essere l’esito di ascolto e memorizzazione: gli studenti devono essere autenticamente motivati.
L’efficacia delle strategie didattiche avrebbe dovuto essere il cuore dell’appello e i regolamenti di riordino del 2010 un elemento fondante. Questi fissano alcuni punti fondamentali e imprescindibili tra cui: “Lo studio delle discipline in una prospettiva sistematica, storica e critica”, “la pratica dei metodi di indagine propri dei diversi ambiti disciplinari”, “l’uso costante del laboratorio”.
Le discipline sono dunque da intendere come dei folletti che saltellano per il mondo e le conoscenze sono le tracce da loro lasciate. Il loro spirito vitale risiede nell’energia, nella curiosità, nella determinazione e nella vivacità del loro carattere. Quale meraviglia manifestano quando percepiscono nuovi problemi, quanta attenzione dimostrano quando ne circoscrivono l’ambito! E che dire della precisione che esibiscono quando scavano per trovare la soluzione e dei trilli di gioia che accompagnano la cattura di nuove questioni.
Gli insegnanti, per trasmettere una corretta immagine della disciplina, individuano progressioni di situazioni problematiche da sottoporre agli studenti che, opportunamente strutturate e formalizzate, stimolano il lavoro di classe orientandolo all’acquisizione sia di specifiche nozioni, sia dei tipici procedimenti che conducono alla soluzione dei problemi.
I giovani, durante l’attività di ricerca (laboratori), esibiscono comportamenti strettamente connessi alle capacità e alle abilità necessarie alla soluzione dei compiti loro assegnati (competenze). Il sistematico monitoraggio di tali condotte permette la gestione dei processi di apprendimento per promuovere e consolidare le capacità e le abilità collegialmente definite.
La progettazione d’itinerari di studio fondata sui problemi e sui metodi disciplinari non è cosa nuova: le traduzioni dal latino, materia la cui potenzialità formativa è universalmente riconosciuta, richiedono l’analisi dei dati, la formulazione e l’applicazione d’ipotesi, la validazione dei risultati ottenuti.
Ecco perché è sbagliato contrapporre le conoscenze con le competenze come ha fatto l’appello: nella scuola conoscenze e competenze sono inscindibili. La conoscenza è il terreno di lavoro mentre le competenze sono i comportamenti che gli studenti esibiscono quando ricercano la soluzione alle questioni che sono state loro poste.
In rete si discute dei paragrafi dell’appello:
“La promozione delle competenze” tratteggia la strategia di un progetto ministeriale caratterizzato dalla progettazione per competenze, generali e specifiche;
“La scuola regredisce dal piano nazionale informatica al piano nazionale scuola digitale” analizza il campo dell’innovazione tecnologica;
“L’alternanza scuola-mondo del lavoro mortifica il lavoro dei docenti” mostra come nell’appello sia assente la visione sistemica;
“Il laboratorio: un occasione educativa da difendere” propone un elenco di materiali didattici esemplificativi;
“Coraggio! Organizziamo le scuole” descrive il campo del lavoro scolastico, premessa essenziale per la valutazione del sistema.
Enrico Maranzana
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