Nel mondo contemporaneo, complesso ed efficientista, ma disattento ai grandi principi, il processo educativo è frutto di una pluralità di interventi che prefigurano nuove frontiere e pongono il problema della complessità e delle difficoltà dell’ educazione.
La grande lezione offertaci dal passato è che ogni sistema socio-educativo funzionava bene perché non aveva niente di arbitrario, ognuno svolgeva un ruolo compatibile con il suo precipuo ambito di competenze e conoscenze ed esprimeva quello che, per la collettività, era importante sul piano formativo, professionale, etico, progettuale ed operativo.
Oggi, l’azione educativa non esercita più una precipua funzione socio-culturale di primo piano e di alto livello e la funzione docente sembra non essere più compito specialistico della scuola. L’esercizio dell’autorità, all’interno della funzione docente, viene a caratterizzarsi come violenza e coercizione, si scavano solchi e si innalzano barriere che, gradualmente, forniscono una serie di dati negativi sulle responsabilità politiche di una società che, accentuando i dislivelli prodotti da una libertà effimera, fa fatica a misurarsi con le incognite del quotidiano e tende a trascurare la scuola come strumento necessario per ridefinire il posto dei giovani nella società, per incoraggiarli ad assumere maggiori responsabilità civili e sociali.
Insomma, il nostro è un tempo in cui la gioia, la felicità, la fatica, l’amore e la passione per il lavoro educativo riservano non poche sorprese a causa di ambigue relazioni sociali e confusi ambiti di competenze professionali.
Per una strana e anomala convergenza di idee e di interessi sui social, per un numero sempre più grande di uomini e donne diventa, oggi, sempre più facile accedere ad una arbitraria, personale e critica lettura pedagogica di qualsiasi questione educativa.
Nessuno riesce più a stare al proprio posto, tutti sono diventati esperti analisti di problemi scolastici e si va rafforzando la visione distorta secondo la quale, il diritto a partecipare dall’esterno a processi decisionali di tipo educativo è possibile, perché il docente non rappresenta più la figura chiave, il fattore essenziale dell’educazione, il professionista capace di innescare un processo di cambiamento e portare avanti con successo l’organizzazione del lavoro scolastico.
I disagi e le difficoltà della scuola non rappresentano più un problema di esclusiva pertinenza degli addetti ai lavori, ma sono diventati una questione aperta che si diffonde e abbraccia tutti gli spazi della vita. Per questo, nella società complessa, cognitiva, competitiva, iperinformata ed informatizzata, avanza sempre più l’attenzione mediatica, spesso negativa, nei confronti di una scuola che sta ormai diventando teatro di insulti, di scontro sociale, politico, culturale e ideologico.
Dirigenti contro docenti, docenti contro se stessi, psicologi e psichiatri pro o contro i docenti, pubblici ufficiali, comprese le forze dell’ordine, offesi, derisi, insultati, picchiati, famiglie soffocanti e in perenne conflitto… Tutto l’impianto socio-educativo appare pericolosamente conflittuale, illusorio e viziato da un pavido riformismo che non riesce più ad esercitare un’azione positiva sulla personalità e ad agire come antidoto alle destrutturanti, nocive e violente chiacchiere social.
La scuola in particolare è diventata una sorta di avventura angosciosa, un incontro drammatico con critici stereotipi sociali pronti a giudicare, a mettere in crisi la sua tenuta, a destrutturare l’armonia delle sue componenti affettive, culturali, intellettuali, psicologiche, educative, volte a dominare i conflitti, a rafforzare, ad ottundere ed a correggere i differenti modi di pensare e di agire.
Il legame tra scuola, istituzioni educative e ambiente sociale risulta sempre più carico di tensioni. Non si cerca più di promuovere una comune politica dell’educazione, oppure, guardare con vivo interesse ai bisogni educativi delle nuove generazioni, ma a favorire il disordine, la confusione, lo scontro, l’offesa, la polemica, l’incertezza e il graduale logoramento dell’ ethos.
In questa prospettiva, la progressiva dissoluzione della scuola non è una fatalità, interessa un orizzonte più ampio e complesso che ha a che fare con gli sfuggenti problemi del sociale, con le gravi ambivalenze e i sintomi più funesti del nostro tempo, un tempo che non sa più dialogare, ascoltare, motivare, inserirsi nell’ambito della sublimazione dei valori perenni.
Nelle diverse epoche storiche e nelle differenti culture, la scuola è riuscita a non disgregarsi ed a garantire benessere formativo, in forza di una disciplina ferma e flessibile insieme, di un fondamento antropologico e axiologico che ha saputo trovare nella semplicità, nella cordialità, negli alti ideali una fonte di gratificazione, di sviluppo, di perfezionamento del profilo culturale, professionale e relazionale delle strutture formative.
Insistere sulla necessità di un radicale ripensamento della funzione docente, rivendicare alla scuola, all’educativo la funzione che gli spetta rappresentano un’importante decisione che arricchisce e non inquina la pluralità e la diversità di prospettive.
Il cambiamento che corre e si sviluppa sulla scia del bisogno umano di libertà, ma non di liberazione educativa, è un fattore di sviluppo, è un passaggio che ha il triplice compito di favorire l’autonomia e la professionalità dei docenti, coltivare una mentalità pubblica di sostegno alla scuola e alla famiglia, ricomporre le coordinate di un agire educativo che punti alla crescita umana e offra ragioni e motivi per un corretto e raffinato impegno sociale che va oltre gli interessi particolari.
Crescita umana e formazione sociale costituiscono un binomio inscindibile in campo educativo, risultano poli permanenti di un discorso pedagogico che deve riappropriarsi, con una forte tensione etica e sociale, la forza per ricondurre ad unità tendenze troppo spesso conflittuali e opposte.
Continuiamo a domandarci. In questo mondo inquieto perché tanto rumore e clamore mediatico sulla scuola?
Fernando Mazzeo