“Oggi nella scuola la valutazione degli studenti è diventata impossibile”: a sostenerlo è Anna Angelucci, docente di Italiano e Latino al liceo Pasteur di Roma e presidente del Comitato nazionale Per la Scuola della Repubblica.
A colloquio con La Tecnica della Scuola, l’insegnante romana ha spiegato come i test scolastici, le prove nazionali predisposte dall’Invalsi, abbiano sempre più stravolto le tradizionali modalità di valutazione degli allievi. Il motivo? Verrebbe meno, sostiene l’insegnante, quel lento e lungo percorso di osservazione, di attenzione, di riformulazione, di valorizzazione del lavoro che ogni allievo, più o meno faticosamente, compie nei suoi percorsi di apprendimento, a partire dal bagaglio personale di conoscenze e di esperienze con cui costruisce e arricchisce i momenti, i tasselli, il patrimonio, direi, della sua istruzione e della sua formazione.
Secondo Angelucci, “con le nuove norme si va nella direzione di una certificazione burocratica delle competenze: si cancella ogni residuale sforzo dei docenti per una valutazione davvero formativa, che osservi lo spazio che intercorre tra i diversi momenti della formazione, e che si esprima soprattutto sulle possibilità, sulle potenzialità, sulle tappe individuali di crescita culturale e umana dell’alunno. Le quali, non possono mai essere omologate e standardizzate”.
Secondo la professoressa, “la domanda da porci è: nella morsa della misurazione e della certificazione in cui ci hanno stretto, tra test Invalsi, Ocse Pisa, obblighi di misurazione e certificazione delle competenze in ogni ciclo, è ancora possibile la valutazione nella scuola, oggi?”. Perché la valutazione è parte integrante delle attività che si svolgono a scuola: “è connaturata a un processo di costruzione del sapere che procede per aggiustamenti, aggiornamenti e modificazioni costanti, che vede nella riflessione personale e interpersonale su come si sta procedendo una continua possibilità di miglioramento e di arricchimento”.
La critica ai freddi test Invalsi è a trecentosessanta gradi: il percorso di osservazione che si sta abbandonando, sostiene Angelucci, è quello che “il docente realizza insieme allo studente e insieme all’intera classe, perché in una collettività che agisce insieme, in uno spazio e in un tempo condiviso, lo sguardo è molteplice, reciproco e plurale e si moltiplica in una serie potenzialmente infinita di rimandi e di altrettanti suggerimenti, espliciti e impliciti”.
La valutazione, ribadisce, è “parte integrante dell’attività dei docenti, chiamati a partecipare a questo processo di dispiegamento del sapere con la grande responsabilità di fornire a ciascuno studente, nei suoi autonomi percorsi di conoscenza, orizzonti di senso, chiavi interpretative”.
In quest’ottica, continua l’insegnante, “la valutazione è sempre e solo formativa e si esprime attraverso passaggi, momenti di riflessione personale (autovalutazione) e relazionale (i compagni, l’insegnante). Ed è narrativa, cioè esplicativa, descrittiva e argomentativa, perché vuole che lo studente capisca quello che sta imparando, come lo sto imparando e come farlo diventare più significativo nella formazione della sua soggettività e del suo rapporto col mondo”.
Ma non solo: “La valutazione, come fatto culturale, è dunque trasformativa per lo studente, ed è una leva per comprendere sé stesso, per collocarsi nel mondo, per pensare, per interagire”.
Per la Angelucci “non è un caso che ogni spazio autonomo di scelta didattica, e dunque anche valutativa per gli insegnanti, sia stato man mano assottigliato. Penso all’obbligo dei test Ocse Pisa e Invalsi, così pervasivi non solo sotto il profilo quantitativo (due volte alle elementari, poi alle medie, poi al secondo e presto all’ultimo anno delle superiori) ma anche sul piano qualitativo, cioè culturale: pensiamo a tutti i libri di testo che sono ormai invalsizzati, in tutti i libri di testo di ogni disciplina l’apparato degli esercizi è organizzato sul format del test a risposta chiusa, il che non configura una semplice opzione tra le diverse scelte di verifica, ma prefigura una precisa forma mentis, così come la domanda aperta prefigura una diversa forma mentis, così come il tema libero rispetto all’esercizio glottodidattico di completamento o al riassunto”.
“Dico questo – conclude la professoressa – per sottolineare che niente, nella didattica e nella valutazione, così come nel discorso sulla didattica e sulla valutazione è neutro”.
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