Dall’Autonomia scolastica ad oggi, la scuola Primaria registra crescenti criticità su temi fondamentali che sono al centro dell’impegno dei COBAS SCUOLA: a) la parità giuridica e stipendiale tra i docenti dei diversi ordini scolastici; b) il ripristino del Tempo Pieno e delle compresenze; c) il diritto al sostegno; d) la riduzione del numero degli alunni/e per classe; e) le prove Invalsi.
È necessaria costituire un ruolo unico degli insegnanti a prescindere dal grado d’istruzione in cui sono impegnati. Dalla scuola dell’Infanzia alla Secondaria, le condizioni giuridiche ed economiche dei docenti sono differenti: nella scuola dell’Infanzia l’orario è di 25 ore settimanali, nella Primaria è di 24 e nella Secondaria di 18. Ma, come stipendio di fine carriera, un insegnante della scuola Primaria percepisce circa 4.000 euro annui in meno del collega della Secondaria. Avere per studenti bambine/i non significa avere minori competenze. La stragrande maggioranza di insegnanti di scuola Primaria sono ormai laureati/e. Sono docenti che hanno grandi responsabilità nella formazione delle nuove generazioni. Nella scuola Primaria vengono gettate e potenziate le basi per lo sviluppo armonico della persona in tutte le sue dimensioni. Ciò richiede competenze di Pedagogia, di Psicologia dell’età evolutiva, di didattica disciplinare e delle metodologie d’insegnamento.
Come COBAS, riteniamo fondamentale il ripristino del vero Tempo Pieno e il suo sviluppo su tutto il territorio nazionale. Oggi l’organizzazione e il funzionamento delle classi di scuola Primaria sono caratterizzate da una preoccupante frammentazione. I diversi modelli organizzativi spesso rispondono solo all’esigenza di far quadrare l’orario e senza fondamento pedagogico. Numerose classi a 40 ore funzionano con 3 o più insegnanti. La compresenza non c’è più e la contemporaneità oraria viene utilizzata per le supplenze, con negative ricadute sull’insegnamento-apprendimento anche alla luce della crescente complessità della classi. Orari poco funzionali, a volte simili a quelli della Secondaria, rendono sempre più difficile strategie didattiche di tipo esperienziale, i laboratori, le attività teatrali, e gli interventi individualizzati spesso indispensabili. L’assenza di compresenza si supplisce con il lavoro volontario delle insegnanti che per alcuni progetti si recano a scuola anche gratuitamente. L’assenza del Tempo Pieno al Sud d’Italia non solo determina differenti opportunità educative (i bambini del Sud frequentano fino a un anno in meno di scuola Primaria), ma causa anche il pendolarismo degli insegnanti del Sud poiché il numero dei posti in organico è nettamente inferiore a quelli del Nord. Il Tempo Pieno con due insegnanti per classe e quattro ore di compresenza settimanali deve essere diffuso su tutto il territorio nazionale.
L’inclusione è un tratto fondamentale della scuola italiana, ma alle norme non corrispondono risorse umane e finanziare adeguate. Annualmente ogni scuola primaria affronta il problema dell’assegnazione dei docenti di sostegno alle classi. È frequente che l’organico di sostegno non sia sufficiente per garantire il numero di ore indicato nel Piano Educativo Individualizzato. Per garantire il diritto all’istruzione dei figli/e i genitori sono costretti a fare ricorso, se ne hanno le possibilità economiche. E chi non può? Come COBAS SCUOLA riteniamo inaccettabile questa ingiustizia sociale, e sottolineiamo le difficoltà che affrontano gli insegnanti nella gestione di classi complesse e numerose in assenza di ore di sostegno. Crediamo che il processo di insegnamento-apprendimento vada sostenuto da misure concrete quali la diminuzione degli alunni/e per classe e la garanzia del rapporto uno a uno, per l’intero orario di frequenza scolastica, per ciascun alunno/a con disabilità. E in particolare, chiediamo la stabilizzazione dei docenti già specializzate/i nei precedenti cicli e specializzande/i dell’ VIII ciclo del Corso di Specializzazione per le attività di sostegno agli studenti e alle studentesse con disabilità.
I COBAS SCUOLA si sono contraddistinti negli anni per un approccio fortemente critico nei confronti delle prove Invalsi. La puntuale analisi delle prove ci conferma quanto già affermavamo nel 2004, anno della loro istituzione. I rapporti Invalsi ogni anno ci restituiscono risultati sostanzialmente invariati e i divari tra il Nord e il Sud del Paese rimangono rilevanti. Ciò significa che vent’anni di rilevazioni non sono serviti a migliorare la didattica, a fronte di una spesa dello Stato di circa 300 milioni di euro (negli ultimi tempi circa 30 milioni l’anno). Il testing è uno strumento molto limitato, parziale, inidoneo a valutare i processi di apprendimento e, pertanto, l’esito delle prove è assai discutibile. Ad esempio, per verificare la comprensione della lettura sono richieste molteplici e complesse operazioni cognitive impossibili da valutare attraverso test. Ma c’è anche il caso di testi di problemi di matematica mal formulati che i bambini hanno sbagliato solo a causa di ostacoli linguistici. Riteniamo che il processo di valutazione vada ben al di là di prove standardizzate, decontestualizzate e pensate per risposte in velocità. Inoltre, le prove Invalsi hanno un potente effetto retroattivo: alle prove “ci si prepara” e ore di buona didattica vengono sostituite da allenamenti ai test su libri venduti dalle case editrici per le quali le prove sono diventate un affare.
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