La legge 104/92 è la Legge-quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate.
All’art. 33, comma 3, prevede, per il lavoratore, pubblico o privato, il diritto di fruire di tre giorni mensili di permesso retribuito (anche non continuativi) per assistere una persona con disabilità grave.
I permessi spettano al coniuge, al parente o affine entro il secondo grado, ovvero entro il terzo grado qualora i genitori o il coniuge della persona con handicap in situazione di gravità abbiano compiuto i sessantacinque anni di età oppure siano anche essi affetti da patologie invalidanti o siano deceduti o mancanti.
Altra condizione per legittimare la fruizione è che la persona da assistere non sia ricoverata a tempo pieno.
Il permesso è coperto da contribuzione figurativa.
Il predetto diritto non può essere riconosciuto a più di un lavoratore dipendente (referente unico) per l’assistenza alla stessa persona con handicap in situazione di gravità.
Per l’assistenza allo stesso figlio con handicap in situazione di gravità, il diritto è riconosciuto ad entrambi i genitori, anche adottivi, che possono fruirne alternativamente.
La risposta è contenuta in una circolare dell’Inps, la n. 90 del 2007, che affronta questioni varie relative ai permessi di cui alla Legge 104/92, richiamando alcune sentenze intervenute sulla questione.
In particolare, con la sentenza n.13481 del 20/07/2004, la Suprema Corte ha precisato che: “essendo presupposto del diritto la circostanza che il portatore di handicap non sia ricoverato a tempo pieno, è presumibile che, durante l’orario di lavoro di chi presta l’assistenza e può fruire dei permessi, all’assistenza provveda altra persona presente in famiglia ed è ragionevole il bisogno di questa di fruire di tre giorni di libertà, coincidenti con la fruizione dei permessi retribuiti del lavoratore. Il criterio è analogo a quello previsto per i genitori di portatori di handicap, regolato nel medesimo articolo, per i quali la circostanza che uno di essi non lavori, e quindi possa prestare assistenza, non esclude il diritto ai permessi retribuiti. Si deve concludere che né la lettera, né la ratio della legge escludono il diritto ai permessi retribuiti in caso di presenza in famiglia di persona che possa provvedere all’assistenza”.
Anche il Consiglio di Stato si è pronunciato circa l’applicabilità ad un docente di una scuola pubblica dell’articolo 33 comma 5 della legge 104/92, con sentenza del 19.01.1998, n.394/97 della propria Terza Sezione, affermando che non si può “negare il beneficio allorché sussista il presupposto dell’effettiva assistenza continuativa da parte del lavoratore medesimo sulla considerazione che il rapporto possa essere instaurato da altri familiari”. Nella stessa sentenza il Consiglio di stato ha evidenziato che “il beneficio in questione non è subordinato alla mancanza di altri familiari in grado di assistere il portatore di handicap”.
Sulla base di tale orientamento giurisprudenziale l’Inps ha così stabilito che a nulla rileva che nell’ambito del nucleo familiare della persona con disabilità in situazione di gravità si trovino conviventi familiari non lavoratori idonei a fornire l’aiuto necessario. E inoltre che la persona con disabilità in situazione di gravità ha tutto il diritto di scegliere liberamente chi, all’interno della stessa famiglia, debba prestare l’assistenza prevista dai termini di legge.
Quindi, la presenza in famiglia di un disoccupato non impedisce al lavoratore dipendente di fruire dei permessi ex legge 104/92.
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