La “stretta” sui permessi dei dipendenti pubblici comincia ad avere i primi effetti anche sui contratti regionali per il diritto allo studio del personale della scuola: nel Lazio, infatti, non è servito far slittare la scadenza per la presentazione delle adesioni. L’accordo non è arrivato nemmeno nell’incontro del 6 dicembre tra Usr e sindacati. E, salvo clamorosi ripensamenti, non arriverà.
Le trattative si sono infatti interrotte per le forti divergenze, dopo che un’intesa sembrava essere stata raggiunta sulle modalità di calcolo della quota di permessi concedibili e sulla sostituzione del personale, da effettuarsi sulla base delle regole vigenti in materia di supplenze degli operatori della scuola.
Il disaccordo, dimostratosi insormontabile, si è incentrato sulla possibilità di utilizzare una quota delle ore di permesso ai fini della preparazione degli esami. Come anche della tesi di laurea. I sindacati hanno chiesto sino all’ultimo di superare la rigida destinazione dei permessi stessi per la sola frequenza dei corsi di studio. Una possibilità prevista dal vecchio contratto, giunto alla scadenza quadriennale. E contemplata già in altri contratti regionali (Piemonte, Lombardia, Campania) sottoscritti anche dopo la discussa circolare dell’ex ministro della Funzione Pubblica, Renato Brunetta, la n. 12/2011, alla quale l’Ufficio Scolastico Regionale laziale ha fatto riferimento nel modo più rigido e meno conveniente per i lavoratori.
La Cisl Scuola ha subito contestato la scelta operata dall’Usr: “nel metodo, in quanto la circolare Brunetta non è in sé una fonte di diritto la cui forza coercitiva sia tale da imporsi alla volontà contrattuale delle amministrazioni pubbliche” e “nel merito – ha continuato il sindacato, guidato nel Lazio da Vincenzo Alessandro – in quanto si colloca nella scia della complessiva incomprensione delle necessità della scuola che caratterizza l’amministrazione pubblica, incapace di concedere al personale scolastico, e in particolare ai docenti, le agevolazioni che sono ovunque connesse all’insegnamento, dalla detrazione dal reddito delle spese sostenute per l’aggiornamento, all’ingresso agevolato almeno nei musei pubblici”.
Il disaccordo, dimostratosi insormontabile, si è incentrato sulla possibilità di utilizzare una quota delle ore di permesso ai fini della preparazione degli esami. Come anche della tesi di laurea. I sindacati hanno chiesto sino all’ultimo di superare la rigida destinazione dei permessi stessi per la sola frequenza dei corsi di studio. Una possibilità prevista dal vecchio contratto, giunto alla scadenza quadriennale. E contemplata già in altri contratti regionali (Piemonte, Lombardia, Campania) sottoscritti anche dopo la discussa circolare dell’ex ministro della Funzione Pubblica, Renato Brunetta, la n. 12/2011, alla quale l’Ufficio Scolastico Regionale laziale ha fatto riferimento nel modo più rigido e meno conveniente per i lavoratori.
La Cisl Scuola ha subito contestato la scelta operata dall’Usr: “nel metodo, in quanto la circolare Brunetta non è in sé una fonte di diritto la cui forza coercitiva sia tale da imporsi alla volontà contrattuale delle amministrazioni pubbliche” e “nel merito – ha continuato il sindacato, guidato nel Lazio da Vincenzo Alessandro – in quanto si colloca nella scia della complessiva incomprensione delle necessità della scuola che caratterizza l’amministrazione pubblica, incapace di concedere al personale scolastico, e in particolare ai docenti, le agevolazioni che sono ovunque connesse all’insegnamento, dalla detrazione dal reddito delle spese sostenute per l’aggiornamento, all’ingresso agevolato almeno nei musei pubblici”.
Per la Cisl Scuola “con la stessa logica, si nega ora la possibilità di un uso flessibile di un monte ore che, comunque, l’amministrazione dovrà concedere, anche in assenza del contratto regionale, in quanto prevista da normative di rango nazionale. È appena il caso di aggiungere che il personale della scuola utilizza spesso le 150 ore per procedere, a proprie spese, a quell’attività di aggiornamento e formazione alla quale il ministero dell’Istruzione dedica sempre meno risorse”, ha concluso amaramente il sindacato Confederale.