Non costituisce abuso dei permessi previsti dall’art. 33 della Legge 104/1992 il fatto che il lavoratore non presti assistenza al familiare disabile durante l’orario coincidente con il proprio turno di lavoro, in quanto i permessi sono concessi su base giornaliera e non oraria.
Lo ha deciso la Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 26514 dell’11 ottobre 2024, con la quale ha deciso in merito al caso di un dipendente licenziamento perché, in tre giornate in cui usufruiva dei permessi della Legge 104/1992, nell’orario lavorativo 8-14,30, aveva svolto attività personali anziché assistere la madre invalida.
La Corte d’Appello, dinanzia alla quale il lavoratotre aveva impugnato il licenziamento, aveva respinto il ricorso, sostenendo che l’assenza di assistenza durante quell’orario costituisse un abuso del diritto.
Cosa prevede la norma
La norma in esame dispone che “Il lavoratore dipendente, pubblico o privato, ha diritto a fruire di tre giorni di permesso mensile retribuito coperto da contribuzione figurativa, anche in maniera continuativa, per assistere una persona con disabilità in situazione di gravità, che non sia ricoverata a tempo pieno, rispetto alla quale il lavoratore sia coniuge, parte di un’unione civile ai sensi dell’articolo 1, comma 20, della legge 20 maggio 2016, n. 76, convivente di fatto ai sensi dell’articolo 1, comma 36, della medesima legge, parente o affine entro il secondo grado. In caso di mancanza o decesso dei genitori o del coniuge o della parte di un’unione civile o del convivente di fatto, ovvero qualora gli stessi siano affetti da patologie invalidanti o abbiano compiuto i sessantacinque anni di età, il diritto è riconosciuto a parenti o affini entro il terzo grado della persona con disabilità in situazione di gravità. Fermo restando il limite complessivo di tre giorni, per l’assistenza allo stesso individuo con disabilità in situazione di gravità, il diritto può essere riconosciuto, su richiesta, a più soggetti tra quelli sopra elencati, che possono fruirne in via alternativa tra loro. Il lavoratore ha diritto di prestare assistenza nei confronti di più persone con disabilità in situazione di gravità, a condizione che si tratti del coniuge o della parte di un’unione civile di cui all’articolo 1, comma 20, della legge 20 maggio 2016, n. 76, o del convivente di fatto ai sensi dell’articolo 1, comma 36, della medesima legge o di un parente o affine entro il primo grado o entro il secondo grado qualora i genitori o il coniuge della persona con disabilità in situazione di gravità abbiano compiuto i 65 anni di età oppure siano anch’essi affetti da patologie invalidanti o siano deceduti o mancanti”.
Requisiti del nesso causale tra permesso e assistenza
La Cassazione, ribaltando la decisione, ha invece osservato che la Legge 104/1992 non stabilisce in modo dettagliato come e quando debba essere prestata l’assistenza al disabile. Secondo i giudici, l’unico requisito è l’esistenza di un nesso causale diretto tra l’utilizzo del permesso e l’assistenza al disabile.
Si legge infatti nella sentenza: “la giurisprudenza di legittimità si è orientata ad affermare che elemento essenziale della fattispecie di cui all’art. 33, comma 3, legge n. 104/1992 è l’esistenza di un diretto nesso causale tra la fruizione del permesso e l’assistenza alla persona disabile, precisando che tale nesso causale va inteso non in senso così rigido da imporre al lavoratore il sacrificio, in correlazione col permesso, delle proprie esigenze personali o familiari in senso lato, ma piuttosto quale chiara ed inequivoca funzionalizzazione del tempo liberato dall’obbligo della prestazione di lavoro alla preminente soddisfazione dei bisogni della persona disabile, senza automatismi o rigide misurazioni dei segmenti temporali dedicati all’assistenza in relazione all’orario di lavoro“.
Non c’è discrezionalità da parte del datore di lavoro
Partendo dal presupposto che il diritto di fruire dei permessi da parte del familiare di persona disabile si pone in relazione diretta con le esigenze di assistenza, la Cassazione ritiene che le esigenze organizzative del datore di lavoro non incidono sulla scelta del lavoratore dei giorni in cui fruire dei permessi, che debbono essere comunicati al datore di lavoro, ma non sono soggetti al suo gradimento o alla sua discrezionalità. Il datore di lavoro non può inoltre sindacare in merito alla scelta delle giornate in cui esercitare l’assistenza al disabile, e quindi tale scelta si pone al di fuori degli obblighi di diligenza e fedeltà del lavoratore nell’attuale quadro normativo.
I permessi sono su base mensile
I permessi ex art. 33, comma 3, legge n. 104/1992 sono delineati quali permessi giornalieri su base mensile, e non su base oraria o cronometrica, e possono essere fruiti a condizione che la persona gravemente disabile non sia ricoverata a tempo pieno, sicché l’assistenza del familiare può realizzarsi in forme non specificate
Quando si configura l’abuso
L’assistenza a persona con disabilità in situazione di gravità che legittima il diritto del lavoratore dipendente, pubblico o privato, ai permessi mensili retribuiti non va intesa riduttivamente come mera assistenza personale al soggetto disabile presso la sua abitazione; si configura abuso invece quando il lavoratore utilizzi i permessi per fini diversi dall’assistenza in senso ampio in favore del familiare, cioè in difformità dalle modalità richieste dalla natura e dalla finalità per cui il congedo è previsto. Sulla base di quanto sopra, non integra abuso la prestazione di assistenza al familiare disabile in orari non integralmente coincidenti con il turno di lavoro, in quanto si tratta di permessi giornalieri su base mensile, e non su base oraria.
In conclusione, la Suprema Corte ha accolto il ricorso del lavoratore, dichiarando illegittimo il licenziamento.